Poesie in libertà. La poesia è lo specchio dell'anima

domenica 6 novembre 2011

Estranea - segue


Capitolo 11


Michela si avviò verso casa, perché sentiva dentro di sé la necessità di raccogliere i pensieri che erano scaturiti durante la mattinata e rimettere insieme i frammenti della sua vita. Non aveva senso rimanere in quelle aule popolate da facce sconosciute, che la guardavano con desiderio misto a curiosità, che la spogliavano dalla corazza con cui finora si era fatto scudo, lasciandola nuda e indifesa. Percepiva ancora sulla propria pelle lo sguardo energico e voglioso del ragazzo che con una scusa banale aveva cercato di parlarle, di conoscerla, di avvicinarla. Si sentiva sola senza amici, vuota negli affetti ed insicura nelle azioni. Però si domandava se questo era in parte colpa sua, visto che rifiutava il contatto con gli altri.
Il suo guscio protettivo si stava sgretolando giorno dopo giorno, mentre lei intuiva di essere sotto spoglia fisicamente e psicologicamente. Si domandava se sarebbe stata in grado di reagire al senso di ansietà che la stava tormentando e trascinando verso il basso. Sua madre era sempre più assente o meglio evanescente come un fantasma, mentre suo padre le era accanto pronto a sostenerla in ogni momento. Questo però secondo lei non era sufficiente a ritrovare dentro di sé quel senso di sicurezza smarrito negli ultimi anni. Lei non era riuscita a impedire questa deriva, ma adesso doveva fermarla prima che fosse troppo tardi.
Una cosa non era riuscita a comprendere pienamente, perché suo padre si ostinasse a vivere sotto lo stesso tetto con sua madre, che visibilmente lo detestava e a stento lo sopportava.
Michela pensava che non avrebbe esitato un attimo ad andarsene, se lei fosse stata al suo posto, perché non sarebbe riuscita a sopportare l’indifferenza di Laura, il disprezzo nemmeno troppo velato e mascherato verso entrambi.
Le veniva da piangere, mentre a passi svelti si avvicinava a casa, sperando di trovare il padre solo senza la presenza della madre. Voleva parlargli, discutere con lui di Laura, della loro vita e del loro futuro.
Michela, entrata nell’abitazione, scoprì che lui non c’era e forse non sarebbe tornato a pranzo. Si sentì perduta, perché aveva bisogno di sfogare le paure, le angosce, i dubbi profondi che stavano minando le poche certezze delle quali si era nutrita fino a quel momento.
Intuiva che, se non l’avesse fatto, non sarebbe stata in grado di reagire alla sensazione di sconforto e frustrazione che subdolamente si stava insinuando dentro di lei.
Si accasciò sulla poltrona con lo sguardo smarrito di un animale intrappolato, mentre le lacrime ripresero a scendere per inumidire le guance.
«Papà, vieni a casa. Ho bisogno di te. Dobbiamo parlare. Michi” e affidò il messaggio alle onde che solcavano il cielo, sperando in una fulminea risposta.
Mentre aspettava ansiosa, chiuse gli occhi e si assopì lentamente. Come in un film, rivide le sequenze della vita tra flash e ricordi in maniera tumultuosa ed incoerente. La madre, Laura, campeggiava e sovrastava tutte le immagini, mentre il padre, Mattia, restava nell’ombra che il corpo proiettava nella mente.
La domanda ricorrente era perché sua madre non era partecipe della sua vita.
“Cosa ho fatto per essere un’estranea per lei?” si domandava nel sonno agitato e popolato di sogni ed immagini, che come un immenso caleidoscopio si scomponevano e si ricomponevano in formati e forme differenti.
Nel dormiveglia le veniva da singhiozzare, mentre le lacrime inumidivano le ciglia.

Mattia si immerse nel lavoro, mentre un tarlo continuava a lavorare nella mente in modo silente ma costante. Metà del suo corpo seguiva il suo aplomb professionale, impeccabile come un austero inglese di buona memoria, mentre l’altra metà sentiva la necessità di capire perché il rapporto con Laura si era ridotto a impercettibili monosillabi «Sì, no».
Con Anna non era stato mai in confidenza, pur conoscendola da quasi vent’anni; però oggi sentiva il bisogno impellente di articolare parole con qualcuno, di esternare il dolore e la rabbia accumulata in tutto questo tempo. Non voleva consigli o suggerimenti, ma semplicemente parlare ed essere ascoltato senza commenti o parole, in silenzio. Voleva sfogare all’esterno tutto quello che aveva represso per lunghi anni, occultandolo sotto la maschera di ipocrita circostanza.
La mattina trascorse lenta, come mai lo era stato in precedenza, mentre ascoltava distratto le richieste dei clienti, prendendo appunti ed attivando la registrazione dei colloqui. Era mentalmente assente. Non era mai capitato. E questo gli diede la sensazione che la misura era colma.
Aspettava con inquietudine che anche l’ultimo visitatore se ne fosse andato, lasciandolo finalmente solo con i suoi pensieri, con le sue ansie, con i suoi timori per Michela, che soffriva questa situazione assurda e balorda forse molto più di lui. E questo acuiva il senso di colpa e di inadeguatezza.
Si apprestava a congedare l’ultimo cliente della mattinata, quando sentì un leggero ronzio accompagnato da una breve melodia. Era arrivato un SMS, ma non poteva distrarsi troppo, perché voleva liquidare in fretta le tre persone sedute di fronte a lui per dedicarsi solo a se stesso.
Finalmente solo si rilassò e  si appoggiò allo schienale, dimenticandosi di vedere chi aveva scritto. Chiamò tramite l’interfono: “Anna, chiudi tutto. E’ ora di andare al ristorante”.
“Sì, Mattia” rispose con tono leggermente ansioso “Tempo cinque minuti e sono pronta”.
Adesso poteva concentrarsi su quello che frullava in testa dalla mattina con insistenza. Doveva solo raccogliere quanto era sparso nella mente per impacchettarlo con cura, perché tra un po’ ne avrebbe avuto bisogno per esporlo con chiarezza.
Mattia prese sotto braccio Anna, che docile si sistemò al fianco. Quel contatto le fece percepire un’improvvisa voglia di lui, mentre si incamminarono verso il Don Giovanni, dove un tavolo riservato li aspettava.
Il posto non era lontano ma distava il tempo di una breve passeggiata. La giornata era bella, come raramente capitava a Milano, sempre uggiosa, mai limpida. Il cielo era terso e in lontananza si vedevano i monti che sovrastavano la Brianza.
Anna si strinse ancora più vicina a Mattia, che immerso nei suoi pensieri non percepì il messaggio che la segretaria gli stava trasmettendo.
Il tragitto era stato silenzioso, ma ognuno dei due riponeva molte speranze nel pranzo: Anna di essere notata da lui e Mattia di capire dove aveva sbagliato. Però, forse, alla fine non avrebbero ottenuto nulla nessuno dei due.
Il tavolo era in un’area appartata e discreta, lontana dalla curiosità degli altri frequentatori: Anna lo aveva scelto per potere stare più tranquilli a conversare.
Il maitre arrivò silenzioso a raccogliere le ordinazioni, quando Mattia si ricordò che qualche tempo prima era arrivato un SMS, che non aveva letto.
“Anna” disse sbiancando in viso, “mi dispiace ma non posso trattenermi. Mia figlia ha bisogno di me” e rivolgendosi al maitre, che impassibile aspettava fermo di fianco a loro, disse “Sono desolato, ma non posso gustare i vostri piatti. La signora si trattiene a pranzo. Raddoppiate l’importo come se io avessi pranzato. Pagherà tutto lei. Arrivederci”.
Strinse la mano ad Anna, mentre si alzava dal tavolo e soggiunse: “Non so se rientro nel pomeriggio. Sarebbe opportuno disdire gli appuntamenti. Ci sentiamo più tardi”.
E se ne andò.
Ad Anna mancò il respiro come se una mano invisibile le avesse stretto la gola, mentre le lacrime salivano dal basso verso gli occhi. Però non era il momento di piangere in quel posto dove era conosciuta come la fidata segretaria di Mattia; quindi era il caso di ricacciare in gola le gocce di pianto per poi sfogarsi più tardi.
Ordinò, mangiò in silenzio senza alcuno stimolo, frettolosamente, perché voleva fuggire da lì per dare sfogo alla rabbia e alla delusione.
Ripensandoci bene, comprese che era stata una fortuna che non fosse avvenuto nulla e non avesse palesato il suo desiderio verso di lui. Mentre masticava il cibo senza percepire il sapore, disse a se stessa che sarebbe stata incauta manifestare le emozioni più intime, perché aveva un marito verso il quale provava affetto e un figlio che era nell’età di transizione, né bambino, né ragazzo. Avrebbe potuto compromettere quasi vent’anni della sua vita per una voglia dai contorni incerti. Pagò come le era stato ordinato, nonostante che il proprietario insistesse che solo un pasto era stato consumato, e si avviò verso l’ufficio per consentire alle lacrime di sgorgare copiose dagli occhi.
Mattia era impaziente di arrivare a casa per sentire la voce di Michela e dare corpo alle domande che inevitabilmente gli avrebbe posto.
La situazione con Laura era troppo compromessa per pensare alla ricomposizione di una frattura che era diventata col tempo un solco amplissimo, dove non sarebbe stato possibile costruire nessun ponte per collegare le due sponde. Doveva prendere una decisione secca senza tentennamenti. Per quanto potesse essere doloroso per lui, doveva preservare Michela, la figlia tanto amata quanto desiderata, da ulteriori sofferenze.
“Sì,“ disse mentre guidava nervosamente nel traffico caotico di Milano, “sì. Devo chiudere con Laura. Stasera le comunico che intendo divorziare e dare mandato al mio avvocato per avviare le pratiche. Non posso permettermi di perdere anche Michela, che ultimamente vedo molto sofferente ed emotivamente agitata”.
Arrivato in casa vide la figlia distesa sul divano che dormiva tempestosamente, mentre teneva stretto il telefono in attesa di un messaggio che non sarebbe mai arrivato.
Michela aprì gli occhi ed abbracciò il padre.



Capitolo 12

Elisa si alzò presto la mattina del 13 aprile perché doveva inventariare nuovi oggetti ed immobili sparsi tra le colline della Brianza. Lavorava alla Sovrintendenza della regione Lombardia da diversi anni. Aveva ricevuto l’incarico di curatrice del catalogo degli oggetti d’arte e degli immobili per ognuno dei quali doveva preparare una scheda dettagliata e corredata da molte fotografie. Era un lavoro che le piaceva, perché poteva stare sola coi suoi pensieri senza interferenze esterne e poteva assecondare la sua passione per la fotografia.
Preparò con cura lo zainetto che portava con sé quando andava per cascine, borghi e chiesette isolate. Prese le macchine fotografiche, controllando che fossero in ordine, qualche pila di scorta, il caricabatterie da auto, un paio di schede di memoria e diversi rullini. Depose tutto questo materiale con cura nella sacca, dove aggiunse un paio di bottiglie di acqua e diversi pacchetti di cracker per precauzione. Non doveva mancare nulla.
Era molto meticolosa nel preparare quello che le serviva durante le uscite in campagna, perché non amava intoppi o dimenticanze che avevano il potere di innervosirla.
Aveva avuto in dotazione dalla Sovrintendenza oltre ad una macchina fotografica digitale e a un telefono anche una vecchia Panda 4X4, molto utile quando doveva affrontare percorsi fuori strada o accidentati.
Mentre completava la preparazione, stava ripensando ancora una volta nel giro di pochi giorni alla sua vita ed in particolare dal momento in cui si era separata da Riccardo. E i ricordi non erano piacevoli. Troppi vuoti, troppi silenzi come la casa deserta. E lei si sentiva estranea a questo mondo.
Sofia era via con l’ennesimo “boyfriend”, mentre Silvia stava con la regista teatrale in un qualche luogo sconosciuto. In sostanza non sapeva dove erano le figlie e come conducevano la loro vita. Erano diventate per lei delle perfette estranee. In realtà erano tutte e tre delle estranee tra loro.
Si rendeva conto che non era stata una brava madre, né era riuscita a guidarle, perché erano cresciute senza punti di riferimento né paterni né materni. Era già un miracolo che non avessero sbandato vistosamente, ma che fossero rimaste in carreggiata pur su strade ignote a lei.
“Oggi è la giornata adatta per riflettere su questi punti” disse ad alta voce senza il timore di essere udita “il tempo non mi mancherà mentre sono in giro”.
Chiuse con cura la casa e avviò l’auto, guidandola verso le colline della Brianza. Spense il TomTom, perché non le sarebbe servito e poi l’avrebbe solo distratta. Aveva segnato come al solito su carte dettagliate in scala 1:2500 tutto il percorso della giornata e questo le era più che sufficiente per orientarsi e non perdersi tra viottoli di campagna e sentieri appena abbozzati.
Il giorno era luminoso e limpido, quando infilò una strada stretta che tagliava i campi coltivati ad erba medica. Il cielo era terso con qualche fiocchetto bianco, l’aria era trasparente come non si vedeva da più di un mese. Si sentiva serena e tranquilla, pronta a riflettere su se stessa e sulle proprie mancanze.
Si fermò innumerevoli volte a fotografare, a segnare sulle mappe vecchie cascine, qualche rudere di dimora, un tempo abitate da ricchi e blasonati personaggi dell’ottocento, chiesette abbandonate e malandate, depredate di tutto, di cui erano rimasti in piedi a stento i muri perimetrali.
Era mezzogiorno quando vide sul lato della strada un’immensa quercia, che invitava a fermarsi. Accostata la Panda all’ombra dell’immenso albero, che fotografò da ogni angolazione, si sistemò sotto le fronde per ristorarsi con acqua e qualche frutto acquistato durante il suo girovagare.
Elisa era stata sempre introversa, schiva e refrattaria a mettersi in mostra, ma sapeva perfettamente che era in grado di sprigionare una forte carica sessuale, quando voleva. Ora però aveva messo in soffitta questa volontà finendo nell’anonimato, come quando decideva di mimetizzarsi.
Era conscia di queste capacità, come era in grado di percepire che il malessere culminato dalla rottura con Riccardo era nato molto tempo prima, quando erano nate le due figlie. Loro avevano infranto i suoi sogni di diventare archeologa. E il mancato raggiungimento degli obiettivi l’aveva molto frustrata in tutti questi anni, creando un sordo risentimento verso tutti.
Si era sentita prigioniera di un ruolo che non le apparteneva, mentre vedeva nelle figlie e nel marito l’ostacolo insuperabile al perseguimento delle sue aspirazioni. Era una barriera invisibile che l’aveva progressivamente fatta richiudere su se stessa. Ora sembrava un riccio impenetrabile pronto a pungere chiunque avesse osato prenderlo in mano.
Il colpo di grazia era stato sicuramente la separazione. Così Sofia e Silvia furono abbandonate a se stesse proprio nel periodo in cui avrebbero avuto maggiore necessità del supporto dei genitori.
Sofia era diversa dalla sorella, assomigliava molto a Riccardo, al quale segretamente chiedeva spesso consiglio. Lo sapeva, anche se nessuno le aveva detto niente, perché percepiva chiaramente il filo invisibile che li legava. Se da un lato questo andava bene, d’altra parte si sentiva tagliata fuori dalle confidenze della figlia, ammesso che lei le avesse voluto ascoltare.
“Come posso pretendere che Sofia si confidi con me?” pensava amaramente “Quando io sono stata la prima ad abbandonarla?”
Ora a quasi ventisei anni non aveva ancora relazioni stabili, cambiava ragazzo ogni settimana, spesso li portava a far conoscere a lei, anche se alla fine non gliene importava nulla. Le sembrava che fosse ancora immatura sentimentalmente, indecisa sulle scelte, spesso sbagliate, e troppo disinibita. Fortunatamente dopo il corso di laurea breve in economia Riccardo l’aveva fatta assumere come impiegata amministrativa in una piccola ma solida azienda, così che non aveva preoccupazioni economiche.
Elisa ora capiva che difficilmente sarebbe riuscita a modificare gli atteggiamenti di Sofia in campo sentimentale, ma al rientro stasera avrebbe chiamato Riccardo per discutere di questo argomento.
“Alla fine è sempre suo padre! E finora è stato sempre assente.” si disse ad alta voce, mentre sorseggiava un po’ di acqua.
Silvia era il suo cruccio, perché la percepiva più vicina a lei come carattere, ma era distante anni luce come persona. Vedeva in lei un animale selvatico pronto a fuggire nel folto del bosco per nascondersi agli esseri umani e ai cani da caccia che la inseguivano.
Non frequentava né ragazzi né ragazze, non aveva amiche, non si confidava con nessuno, era una minuscola sfinge impenetrabile. Però aveva molto talento artistico, quello che era mancato a lei.
“Silvia ha talento e sensibilità da vendere,” proseguì nella riflessione sulla figlia “è talmente in gamba che riuscirebbe ad emergere in qualsiasi campo dell’arte. E’ caparbia e determinata nell’inseguire le sue mete. Sta frequentando un corso di recitazione, ma sono sicura che alla fine sarà la migliore”.
Quello, che la preoccupava maggiormente, era la mancata frequentazione di coetanei, come se questo mondo non esistesse per Silvia. Questo aspetto della personalità della figlia l’aveva cominciato a notare dopo la separazione dal marito. Però come al solito era rimasta muta spettatrice senza chiederle le motivazioni. E col passare degli anni si percepiva sempre più nettamente.
Da due anni frequentava un corso per attori di teatro, quasi tutte persone più anziane di lei, un mondo dove i rapporti erano promiscui e liberi senza regole apparenti. Silvia li aveva descritti in un diario dove appuntava sensazioni e pensieri in libertà.
Non era sua abitudine spiare o leggere di nascosto le figlie, ma un giorno Silvia aveva lasciato nella dependance, dove da tempo viveva sola, un libretto rosso chiuso da un elastico.
Il primo impulso la consigliava di lasciarlo lì senza toccarlo, ma poi la curiosità fu grande e lesse alcune pagine. Il suo interesse era quella di una mamma che avrebbe voluto conoscere meglio la personalità della figlia. Lei ignorava tutto di Silvia dagli amici, ammesso che ne avesse, alle altre persone che gravitavano intorno a lei. Era un libro scritto con il colore dell’inchiostro simpatico, per diventare poi un foglio bianco.
Scoprì così la passione morbosa verso la regista che era anche l’insegnante del corso. Aveva qualche anno di meno di Elisa e ne avrebbe potuto essere la madre. Rimase scioccata a tal punto che smise di leggere altre pagine, mentre riponeva il tutto esattamente come l’aveva trovato.
Il pensiero che Silvia amasse una donna l’aveva sconvolta, ma era incapace di affrontare con lei l’argomento. Tutte le notti si diceva che la mattina dopo avrebbe affrontato il problema, ma poi rinunciava, perché non riusciva a trovare le parole adatte per iniziare il discorso. Comprendeva che quel rapporto sarebbe stato foriero di molti dispiaceri per Silvia, ma non riusciva a trovare l’antidoto necessario.
Questa mattina di buon ora era partita per un luogo imprecisato con questa regista, quindi non faticava molto ad immaginare cosa sarebbe successo.
“Devo parlarne anche di questo con Riccardo?” si interrogava dubbiosa “Oppure devo affrontare l’argomento da sola con Silvia?”
Poi un altro pensiero le attraversò la mente: “Perché solo ora dopo dieci anni sento la necessità di parlare con Riccardo di questi temi che vertono sulle nostre figlie?” e come una raffica di vento sgombrava il cielo dalle nuvole così anche questa ultima considerazione sparì dalla testa.
Incerta su come agire risalì in macchina per completare il programma della giornata.
“Avrò il coraggio di parlare con Silvia?” si chiese sottovoce, mentre avviava l’auto.




Capitolo 13


Laura si sciolse dall’abbraccio di Silvia e si guardò intorno alla ricerca di un riferimento che nemmeno lei sapeva quale era. Si sentiva turbata ed irresoluta nelle azioni e nei pensieri, lei che decideva in un attimo e che mal tollerava le persone indecise.
L’ansia stava facendo capolino nella sua mente senza preavviso, preannunciando l’arrivo di un attacco di panico. Era sempre riuscita a controllarsi e a mascherare bene le sue fobie, ma ora percepiva la difficoltà ad avere la padronanza dei comportamenti. Doveva respirare con calma e profondamente, rilassarsi e assecondare la mente per autocontrollare i battiti del cuore che di lì a poco avrebbero cominciato ad accelerare come un metronomo impazzito. Erano diversi mesi che non era soggetta a un attacco in presenza di altre persone e quasi se ne era dimenticata. Si era imposta di non assumere medicinali per non diventare schiava dell’ansiolitico, ma adesso se ce ne fosse stato uno a portata di mano l’avrebbe preso volentieri.
Si allontanò in maniera secca da Silvia cercando di concentrare la mente negli esercizi di yoga che le avevano insegnato. Si sedette con calma su una sedia a dondolo sotto la finestra ancora sbarrata nell’attesa che tutto passasse.
Silvia non comprendeva questo brusco e repentino distacco, mentre percepiva che era mutata l’atmosfera da allegra a tesa. Voleva chiedere spiegazioni, ma lo sguardo deciso di Laura non lasciava dubbi: era meglio tacere.
Dopo essersi seduta l’ansia stava rapidamente scemando come velocemente era arrivata, mentre riacquistava il controllo del corpo. Laura le chiese con gentilezza di aprire le finestre per far entrare nella stanza aria fresca e raggi di sole. Lei nel frattempo avrebbe portato all’esterno un paio di sedie e un piccolo tavolo di legno.
L’attacco sia pur lieve era un brutto segnale del corpo, che pareva ribellarsi all’idea dell’inizio di una relazione con l’allieva.
“Devo parlarne oppure fingere che non sia mai avvenuto?” diceva silenziosamente dentro di sé, mentre osservava la figura minuta di Silvia che ubbidiente si muoveva per la stanza.
La parte razionale le consigliava di lasciar perdere la ragazza, di non invischiarla in giochi pericolosi, ma l’altra parte insisteva nel desiderio di saggiare le sensazioni che avrebbe provato nella relazione con Silvia.
“Mi domando perché percepisco la voglia intensa di allacciare questo rapporto.” si chiedeva con un pizzico di ansia. “Ormai ho quarantacinque anni, anzi quarantasei tra non molto, non ho mai pensato di amare una donna ed ora scopro di essere attratta da una ragazza che potrebbe essere mia figlia. Mi domando ancora cosa sta succedendo dentro di me? Quali trasformazioni subirò ancora?”
Mentre trasportava fuori l’ultima sedia decise di incoraggiare la curiosità di analizzare come i suoi sensi da tempo assopiti avrebbero reagito al contatto col corpo di Silvia.
La chiamò verso di sé scusandosi per prima, mentre la sistemava sulle gambe. Cominciò a baciarla dietro la nuca in modo leggero, mentre le mani delicatamente si insinuavano sotto la canotta alla ricerca dei capezzoli.
Sentiva il corpo di lei fremere lievemente, mentre le mani sfioravano i piccoli seni induriti dal piacere. Avvertiva delle sensazioni nuove, sconosciute che la fecero impaurire per un attimo, ma c’era tempo per capire e domare queste emozioni sempre che fosse riuscita a controllare se stessa. Aveva compreso che il contatto con la pelle della ragazza l’avevano eccitata, mentre il suo sesso sembra essersi risvegliato dopo un lungo letargo.
Si chiese se si doveva lasciare trasportare da queste sensazioni e continuare nei giochi erotici. Però la parte razionale le disse: “Perché rovinare questo momento per la fretta di percepire quanto sei infoiata. Aspetta e gusta con calma questi istanti di piacere da assaporare con lentezza”.
Si riscosse e disse in un orecchio a Silvia: “Che ne dici se proviamo la parte di Giulietta nel primo atto scena terza?”
Lei annuì, anche se avrebbe voluto restare ancora lì a contatto col corpo di Laura, con le mani di lei che frugavano con discrezione la pelle, con le vampe di piacere che inondavano il sesso. Però un’inspiegabile sensazione pervadeva la mente della ragazza, che si era svuotata da ogni pensiero.
«Sento il desiderio avvolgermi come una tunica leggera, ma qualcosa dentro di me mi frena come se quello, tanto a lungo agognato, fosse inopportuno. In tutti questi anni non ho mai pensato all’etica, a quello che appare o non appare, alla riprovazione delle persone su relazioni omosessuali, ma ora un dubbio simile ad un tarlo perfora la mia mente. Quando ho perso la verginità, non mi sono posta questo problema. L’ho fatto e basta senza remore o ripensamenti. Adesso sono qui a pormi queste domande.»
Erano questi i pensieri ai quali Silvia chiedeva delle risposte, mentre si alzava per rientrare in casa. Però la mente sembrava non assecondare le emozioni e i quesiti rimanevano scatole vuote.
Alla mattina, quando Laura era passata da casa a prenderla, era piena di idee, di parole da dire, da manifestare, pareva un vulcano in eruzione. Poi durante il viaggio tutto si era affievolito come nebbia in dissolvenza per effetto dei raggi solari. Il carisma, la personalità di Laura l’aveva annichilita, aveva frantumato i pensieri, che dapprima si sparsero e poi si dissolsero. Era felice di entrare in questa casa per respirare l’aria che emanava, ma adesso era sbigottita e non percepiva nulla di tutto quello che aveva immaginato. Era passiva ed accettava le attenzioni di Laura senza quell’entusiasmo che aveva provato durante il sonno. Il panorama era mutato mentre lei pareva impaurita di qualcosa che non riusciva a definire.
Si riscosse da questi pensieri opachi e sfocati con la canotta ancora arrotolata sopra il seno, mentre era seguita come un’ombra da Laura.
Silvia sapeva già cosa sarebbe successo in casa. Laura con la scusa di aiutarla a mettersi il costume di Giulietta avrebbe fatto scivolare le mani sulla pelle fino al monte di venere, mentre le baciava il collo. Lei sarebbe stata pronta a ricevere altre vampe di passione remissiva ed accondiscendente, perché provava piacere sentire come quelle mani delicatamente esploravano il corpo. Però altri dubbi, altre domande si sarebbero affacciate impertinenti nella mente, mentre il senso di incertezza sarebbe cresciuto ed albergato dentro di lei.
Laura una volta all’interno le cinse le spalle e delicatamente la spogliò, mentre la ragazza rimaneva passiva a subire. Le mani e la lingua scivolavano leggere sul corpo alla ricerca del piacere, esattamente come Silvia aveva previsto. Il sesso si inumidì mentre la mente s’incendiò di un benessere da appagamento. Avrebbe voluto ricambiare ma qualcosa la tratteneva. Era Laura che voleva dare ma non ricevere. La sentì ansare mentre esplorava con le mani il suo monte di venere pronto a esplodere.
Poi percepì il distacco e capì che il momento magico era terminato. L’esperienza era stata appagante ma non soddisfacente. Un pizzico di delusione affiorò sulle labbra arricciate. Afferrò dallo scatolone il vestito di Giulietta e in silenzio lo indossò. Era giunto il momento di provare. La guardò e osservò che si era ricomposta e aveva assunto un’aria professionale. Quindi nulla di tutto quello che aveva sognato si stava avverando.
Laura preso il copione dalla macchina sistemò la stanza per dare una parvenza di scena mentre impartiva le ultime istruzioni a Silvia. Lei inizialmente avrebbe sostenuto il dialogo della madre e della nutrice, mentre la ragazza avrebbe impersonato Giulietta.

WIFE: Nurse, where’s my daughter? Call her forth to me.
NURSE: Now, by my maidenhead at twelve year old, I bade her come. What, lamb! What, ladybird! God forbid! Where’s this girl? What, Juliet!

Dalla scala scese Juliet col suo superbo abito di broccatello blu, che esaltava le forme del corpo.
JULIET: How now? Who calls?

Laura la interruppe perché l’entrata in scena non era appropriata e il tono della voce troppo basso e tremolante.
“Così non va! Più sicurezza, più personalità! Riproviamo”.
Riprovarono la scena più volte con monotona pedanteria a riprendere il tono della voce, il muoversi durante l’azione, il tenere lo sguardo fisso dinnanzi a sé. Silvia docilmente seguiva le indicazioni di Laura per migliorare il comportamento e la dizione senza nessuna protesta.
Dopo innumerevoli prove si sistemarono per una breve pausa all’esterno sorseggiando acqua e mangiando alcuni frutti. Durante le varie interruzioni Silvia aveva disegnato con abilità fondali ed abiti di scena, mentre Laura osservava in silenzio la rapidità del tratto e l’immediatezza del bozzetto.
“Sei brava nel trasformare le idee in schizzi!” le disse ammirata mentre raccoglieva con cura tutti i fogli pieni dei segni vergati da Silvia.
Poi lei impersonò la parte della Nutrice con maggiore talento e naturalezza, mentre Laura sosteneva quella della madre e di Giulietta, fino a quando stremate si sedettero a guardare il sole che rosseggiava sull’acqua del lago.
Il sudore che imperlava i loro corpi divenne presto sensazione di freddo, perché erano ancora in aprile con la temperatura che si abbassava rapidamente al calare del sole.
Silvia avrebbe voluto dire che aveva freddo, ma ancora una volta non riuscì a concretizzare le parole perché la personalità di Laura le impediva di esternare le proprie sensazioni.
Per tutta la giornata Laura non aveva pensato a Silvia, a sfiorarla con delicatezza, a baciarla sulla pelle, ma ora di nuovo stava lottando con se stessa tra due pensieri contrastanti: riportarla a Milano o invitarla a fermarsi. Ancora una volta vinse la parte che la spronava a ricercare il contatto fisico con la ragazza per assaporare quelle sensazioni primitive che aveva provato diverse ore prima. Le aveva accantonate perché desiderava gustare con calma le gioie della sessualità ritrovata. Una sessualità del tutto nuova e imprevista era quella che aveva acceso la spia del piacere. Però per il momento era lei a gustare le nuove sensazioni non consentendo egoisticamente alla ragazza di ricambiare.
Dunque Laura la prese accanto per scaldarla, per scatenare dentro una tempesta di piacere, per risvegliare i sensi, che pensava fossero morti. Silvia reagì assecondandola rimanendo passiva nei giochi erotici.
“Se non hai impegni e se ti fa piacere, possiamo fermarci fino a lunedì. Così abbiamo il tempo per provare altre scene, per stare insieme, per conoscere meglio le nostre sensazioni. Cosa ne pensi?” le domandò in modo inaspettato e senza preamboli.
Silvia, colta di sorpresa e piacevolmente contenta, rimase in silenzio per alcuni secondi, come se stesse riflettendo e poi rispose con entusiasmo: “Sì, mi sembra una bella proposta! Il posto è incantevole ed è adatto a queste prove fuori dalle righe. Poi mi sento ispirata. Hai visto quanti disegni ho fatto nelle pause?”
Però soggiunse: “Ho un problema. Non ho biancheria intima di ricambio. Per i vestiti mi bastano quelli che indosso. Non pensavo che ci saremo trattenute per alcuni giorni, quando stamattina sono uscita di casa”.
Laura guardò l’ora e stringendole le mani disse: “Non è un problema irresolubile. Facciamo un  salto in paese a comprare qualcosa. C’è ancora tempo prima della chiusura della merceria. Lì troveremo qualcosa di adatto per te. Poi ci fermiamo in trattoria per cena”.
Fatte le spese e consumato un frugale pasto nell’unica trattoria, ritornarono alla casa per comunicare che non sarebbero rientrate.
C’era eccitazione in loro, come se fosse stata la prima volta che uscivano sole da casa.
Laura compose un laconico SMS a Mattia scrivendo “Stasera non torno. Forse nemmeno nei prossimi giorni”.
Silvia parlò con la madre, che contrariata le disse che al ritorno dovevano chiarirsi perché non era d’accordo sulla vita che stava conducendo. Lei non disse nulla in risposta, ma era visibilmente infuriata. Elisa non poteva intromettersi nella sua vita privata dopo anni di assenza e di indifferenza.
Un bip annunciò a Laura un SMS che perentorio diceva: “Domani a mezzogiorno io e Michi ti aspettiamo a casa, perché dobbiamo parlare di noi. Mattia”.
Lei impallidì e cancellò il messaggio stizzita.
Presto fu buio nella casa, mentre loro si sistemavano nel grande letto a due piazze.




Capitolo 14


Mattia stringeva la figlia senza dire nulla, mentre mille pensieri turbinavano nella testa come una tempesta di neve. Ormai la situazione era arrivata al punto di rottura e doveva prendere una decisione o salvare le apparenze del matrimonio perdendo Michela o aiutare la figlia ad uscire dalle secche psicologiche nelle quali stava sprofondando a poco a poco rompendo con Laura. Comprendeva che una soluzione di compromesso era quanto mai arduo da raggiungere.
Michela percepì il calore e l’affetto del padre e lasciò scorrere le lacrime, libere di sgorgare dagli occhi come piccoli ruscelli d’acqua.
L’abbraccio silenzioso durò a lungo e parlava molto di più di mille parole lasciate in libertà.
Mattia guardò la figlia tenendole entrambe le mani in silenzio e poi disse: “Vedo che hai pianto. Raccontami cosa è successo”, pur intuendo il motivo delle lacrime.
Michela con gli occhi ancora lucidi ed acquosi aprì la bocca, ma non uscì nulla, perché un groppo stava in gola a bloccare le corde vocali. Poi lentamente riprese a parlare con la voce impastata di tristezza.
“Oggi ero a lezione e invece di osservare le diapositive sullo schermo ho rivisto la prima volta che la mamma ha avuto un attacco in mia presenza. Da quel momento sullo schermo ha cominciato a scorrere la mia vita, anzi la nostra vita“. Michela iniziò così a ragionare con il padre.
Erano passati molti anni da quell’episodio, ma lei sentiva che la madre stava diventando giorno dopo giorno un’estranea, che faticava a riconoscere come se lei non esistesse più.
“Perché ha questo atteggiamento?” domandò per l’ennesima volta la ragazza, che non comprendeva le ragioni del distacco.
Parlava, come un fiume in piena, sotto un diluvio di lacrime senza che Mattia riuscisse a calmarla. Poneva sempre le stesse domande senza ottenere le risposte che voleva sentire al «perché sono un’estranea a mia madre».
Poi esaurite le lacrime e con la voce ridotta ad un esile sussurro Michela cominciò ad ascoltare le spiegazioni del padre.
“Quando conobbi Laura, ho avuto quello che si dice un colpo di fulmine e non ho mai smesso di amarla, nemmeno ora che non la riconosco più, perché vive in questa casa solo il suo corpo, mentre anima e mente sono altrove”.
Mattia provava dentro di sé un gran vuoto, ma non desiderava trasmetterlo a Michela, perché intuiva che lei volesse spiegazioni confortanti e non nuovi dubbi sui quali avrebbe macerata altra angoscia. Tentò di spiegarle che era andato troppo di corsa all’inizio coinvolgendo Laura in un ruolo che lei non aveva compreso per nulla, perché lui non le aveva dato il tempo di capirlo. La tensione, lo stress di accudire a se stessa, a un marito, di governare una casa, di completare il percorso universitario erano stati al di sopra delle sue possibilità psichiche e fisiche senza che lui se ne accorgesse per troppo tempo.
“Sono rimasto cieco troppo a lungo e, quando mi sono accorto che lei era in affanno, ormai era troppo tardi per rimediare. Così è entrata in depressione, avvitandosi su se stessa”.
Fece una breve pausa, come per raccogliere idee e fiato.
“Lei non si sentiva pronta alla maternità, perché non era ancora riuscita a superare la fase iniziale della condizione di donna sposata e faticava a gestire la vita secondo i ritmi che io le avevo imposto. Però ho forzato ancora una volta la mano e i tempi. Così sei nata tu, Michela. Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso”.
Mattia proseguì il suo racconto confessione descrivendo come dopo la nascita della figlia avesse avuto un brutto tracollo fisico e psicologico, rifiutando qualsiasi contatto con lui, perché lo considerava come la causa di tutti i mali.
In quel momento aveva compreso pienamente l’errore commesso senza avere la possibilità di porre rimedio, perché a Laura era stata diagnosticata un’agorafobia. A questo punto lui doveva scegliere o sostenerla per riportarla in uno stato di apparente normalità oppure abbandonarla al suo destino fatto di psicologi, farmaci e cliniche di lusso.
“Amavo tua madre, come l’amo tutt’ora“ proseguì nel descrivere quei drammatici momenti “Così ho scelto di aiutarla ad uscire dalla fase più acuta della malattia, affinché ritrovasse l’equilibrio spezzato anche per colpa mia”.
Mattia rifiatò un attimo, mentre Michela comprendeva il dramma del padre e quello della madre, del quale aveva ignorato l’esistenza fino a questo momento. Percepì dentro di sé un senso di vuoto, mentre rifletteva, se in tutti questi anni egoisticamente non avesse messa la propria persona al centro del mondo anziché a disposizione degli altri.
“Sono riuscito ad evitare a Laura le visite umilianti da psicologi, l’assunzione di ansiolitici, le cliniche di lusso usando solo l’amore che provavo per lei. Lentamente ha superato la fase acuta della malattia, ritrovando un equilibrio precario, dove bastava un nonnulla per metterla in crisi. Come ricordi anche il parlare ad alta voce o un grido. Nel frattempo non ho mancato di occuparmi di te, di non farti mancare l’affetto dei genitori, sia pure dimezzato, perché tu potessi crescere serena e sicura. Però l’astio di tua madre verso di te non sono mai riuscito a mitigarlo, se non in minima parte. Poi il lavoro a teatro, lo stare fuori di casa senza dare giustificazioni, l’occuparsi solo della sua persona hanno completato l’opera di raggiungere un equilibrio psichico accettabile. Il prezzo da pagare è stato salato, come hai potuto constatare sulla tua pelle, perché l’abbiamo persa in modo irrimediabile”.
Mattia si fermò e guardò dritto negli occhi la figlia che ricambiò prima di gettarsi al collo singhiozzando.
Ora veniva la parte più difficile sulla strada da intraprendere da questo momento in avanti. Aveva sempre sperato che Michela accettasse la parte di orfana di madre, ma aveva calcolato male la sensibilità della ragazza e non poteva essere altrimenti.
“Papà,“ disse Michela “io sono stata cieca a non capire che dietro quella cortina di silenzio e di gelo si annidava la crisi esistenziale della mamma. Mi domandavo solo ‘perché’ senza chiedere nulla, né interrogarmi sui motivi o le cause”.
“E’ inutile fare a gara nel dire chi ha sbagliato di più. Non serve a nulla, né potrebbe sanare una situazione ormai troppo deteriorata. Pragmaticamente si deve guardare avanti, pensare ad una scelta che cerchi di rimediare il rimediabile. La mamma ha una malattia, dalla quale non è guarita e difficilmente guarirà. Si deve trovare una soluzione che non riapra la ferita. Stasera quando rientra ne parliamo a tre lasciando a lei la decisione se desidera continuare a vivere con noi con maggiore armonia rispetto al passato oppure preferisce il divorzio e ricrearsi una nuova vita fuori da queste mura. Ora conosci tutti i dettagli e puoi esprimere la tua opinione”.
Michela rispose annuendo, perché sapeva che la proposta del padre era l’unica strada percorribile. Adesso era conscia che Mattia non avrebbe mai abbandonato né lei né Laura, ma sarebbe stato prodigo di attenzioni ed affetto.
Rimasero in silenzio, mentre la luce esterna si andava affievolendo.
Poi arrivò un SMS di Laura e partì la risposta di Mattia.




Capitolo 15


Elisa rientrata dal lungo giro per le cascine della Brianza chiamò Riccardo, che rimase sorpreso per la telefonata dopo anni di silenzio quasi assordante.
Della vecchia famiglia solo con Sofia aveva tenuto un rapporto quasi costante, perché non si era mai interrotto il filo che li legava. Per telefono o di persona era un modo per restare in contatto, per discutere e confrontarsi sui temi personali, mentre la moglie e la figlia minore erano sparite dal suo mondo, come se fossero diventate due estranee, come se non fossero mai esistite.
Silvia dopo il diciottesimo anno non si era più fatta sentire né vedere. Era semplicemente svanita nel nulla, inghiottita dal buio. Lei non aveva mai accettato che se ne fosse andato via, perché si era sentita tradita negli affetti. Non glielo aveva mai detto, ma l’aveva compreso con chiarezza dagli atteggiamenti.
Elisa dopo l’udienza che sanciva il divorzio non si era fatta più viva, né lui aveva provato a contattarla, perché la frattura era stata talmente dolorosa e insanabile che il solo pronunciarne il nome equivaleva alla riapertura della vecchia ferita. Di questo distacco brusco e inconciliabile all’inizio aveva tentato di comprenderlo, di trovarne le motivazioni ma poi aveva percepito che era fatica inutile, relegandole in un angolo buio dei ricordi.
La telefonata in arrivo l’aveva pertanto sconcertato, perché era giunta in maniera improvvisa e inusuale. Si domandò cosa l’avesse spinta ma non aveva alcuna idea al riguardo. Era conscio che non era una semplice chiamata di cortesia, ma celava un argomento sul quale dovevano discutere.
«Cosa?» si chiese sentendo la voce di Elisa. Sul rapporto con lei non c’era più nulla da chiarire: il divorzio era stato talmente traumatico che ritornare a parlarne sarebbe stato un riaprire una vecchia ferita. Le figlie erano ormai donne con una vita autonoma, senza che lui potesse interferire sulle loro scelte. Non ne comprendeva il senso.
“Cosa avrà da dire e di così urgente da telefonarmi a quest’ora della sera?” si chiese nuovamente mentre aspettava con pazienza che fosse Elisa a spiegarlo.
Lei si sforzò di essere conciliante tenendo un tono deciso e sbrigativo e al tempo stesso disteso. Senza troppi preamboli descrisse l’argomento della telefonata: le figlie e la loro vita di relazione.
Riccardo era sempre più stupito, perché, dopo anni di disinteresse, adesso Elisa sembrava seriamente preoccupata dei loro comportamenti. Gli sembrava una tempesta in un bicchiere d’acqua e per di più innocua. Però si fece forza nel rispondere in maniera pacata e garbata, calmando quel senso di irritazione che l’aveva colto immediatamente.
“Sono adulte” replicò lui usando un tono di basso profilo. “Come possiamo interferire nella loro vita privata? Quello che possiamo fare è tentare di chiedere loro piccole correzioni allo stile di vita, ammesso che ci ascoltino”.
Elisa non era d’accordo. “No,no! Saranno anche adulte, ma finché vivono con me sento l’obbligo di conoscere come si svolge la loro vita, chi frequentano. Tu, come  padre, non puoi sottrarti ai tuoi doveri di correggere gli atteggiamenti sregolati nelle relazioni. Devi intervenire! Per nostri contrasti, sui quali non intendo tornarci, non le abbiamo seguite come si doveva e le abbiamo lasciate libere di vivere senza controlli e senza freni. Ora si impone una riflessione, prima di pentirci per non averlo fatto a tempo debito”.
Proseguì accalorata, dicendo che era loro preciso impegno discutere con loro su come agivano nella vita quotidiana. Gli strappò alla fine una vaga promessa che le avrebbe contattate nei prossimi giorni per poi riparlarne tutti insieme.
Al termine della lunga telefonata, che le era costata grandi sforzi di concentrazione e di autocontrollo, Elisa si accasciò sul divano consapevole che molti dei guasti erano colpa sua. Si ripromise che da questo momento avrebbe cercato un maggiore dialogo con loro per capire i problemi e trovarne le soluzioni giuste.
Riccardo, messo giù il telefono, scosse la testa, perché era sicuro delle risposte che avrebbe ricevuto. Certamente gli avrebbero detto che i rapporti amorosi non erano questioni che lo riguardassero, che loro erano adulte e che sapevano come comportarsi.
“Cosa posso opporre a queste obiezioni? Quali armi possiedo per far capire loro le ragioni di loro madre? Per me come gestiscono il loro corpo è un problema loro salvo che ..”.
Però si domandò quali erano i punti sui quali intervenire e costringerle ad ascoltare. Scosse il capo perché non ne trovava. Un suo intervento avrebbe avuto il solo significato: di impicciarsi nelle relazioni interpersonali. Si domandava ancora, perché solo in questo momento Elisa si preoccupava se Sofia passava da un ragazzo all’altro come cambiarsi d’abito due volte al giorno o se Silvia si era infatuata di una regista teatrale, che poteva essere sua madre. Quale potere, ammesso che ne avesse ancora, lo autorizzava a intromettersi nei loro atteggiamenti sessuali, perché alla fine tutto sommato non davano scandalo secondo il suo punto di vista.
“Certo, ho parlato più volte con Sofia della sua superficialità nei rapporti coi ragazzi,” rifletté Riccardo sorseggiando un bicchiere di rum. “Ma lei mi ha sempre detto che dopo tre volte che esce con un uomo gli viene a noia e lo pianta. Ora è una donna di ventisei anni, non una ragazzina acerba ed immatura. Proverò a discutere ancora su questo aspetto, ma non credo che mi ascolterà più di tre secondi. Mi manderà tranquillamente a quel paese”.
Più arduo e complicato appariva il compito con Silvia con la quale da tempo aveva interrotto ogni rapporto.
“Non la sento, né la vedo da oltre quattro anni. Non conosco  un particolare di come abbia vissuto in questo periodo. A dire il vero anche nei cinque precedenti il nostro dialogo verteva più sul tempo che sulla scuola, sui ragazzi, sulle aspirazioni, sugli obiettivi. Insomma era un contenitore vuoto, privo di qualsiasi approfondimento”.
Si domandava come sarebbe riuscito ad avviare un discorso concreto su questo tema se non ci era riuscito in precedenza. “Con lei, chiusa e introversa, il dialogo si è bloccato da troppo tempo e difficilmente si sarebbe riavviato nel senso auspicato da Elisa”.
Dubitava molto anche solo a mettersi semplicemente in contatto. “Ci proverò anche se i risultati saranno sicuramente deludenti”.
Riccardo distese le gambe, mentre continuava a gustare lentamente il liquore. Adesso aveva la testa piena di pensieri che non riusciva a disfarsene.
Questa telefonata non ci voleva.



Capitolo 16


Laura trascorse la notte inquieta diversamente da come l’aveva progettata e immaginata. La risposta di Mattia perentoria e diretta la faceva riflettere. Erano anni che tra loro si era stabilita una tregua non scritta ma tacita. Lei avrebbe gestito la sua vita secondo ritmi e attività dettate solo da se stessa senza interferenze di nessuno e senza dovere fornire troppe spiegazioni. Però ieri sera questo patto s’era incrinato in maniera inaspettata e perentoria.
Aveva partecipato subito dopo la nascita di Michela ad un corso di teatro come costumista e regista per superare il trauma che l’evento le aveva procurato. Era stato il medico a suggerirlo per recuperare un minimo di equilibrio psico-fisico e non sprofondare nella depressione.
L’esito era stato talmente soddisfacente che si era trasformato in professione tra magre soddisfazioni e cocenti delusioni. Però lo stare fuori casa in mezzo alla gente aveva avuto risvolti positivi sul suo stato di salute. In lei si era accesa la passione per il teatro, le piaceva insegnare i ruoli ai protagonisti, allestire le scene e scegliere . Per lei dirigere la compagnia teatrale era un aspetto talmente impagabile che anche le delusioni più cocenti scivolavano via come l’acqua sulla pelle. Mattia aveva accettato questa scelta, incoraggiandola perché aveva notato un notevole miglioramento nelle sue condizioni.
Avevano concordato tacitamente che non aveva importanza, se lei stava fuori tutta la giornata o la notte o anche di più. Però lui aveva preteso esplicitamente di essere avvertito. “Non desidero rimanere in apprensione fino al tuo rientro a casa” le aveva detto chiaramente.
Era sicuro che questi comportamenti e le assenze anche prolungate non nascondevano scappatelle o avventure occasionali. Su questo punto lei non aveva mai avuto dubbi al riguardo. “Non esiterei un attimo a chiedere il divorzio se incontro una persona che in qualche modo risvegli i miei sensi sopiti” si era sempre detta e non percepiva la necessità di esplicitarlo con chiarezza. E prima dell’incontro con Silvia non era mai accaduto.
Era consapevole che questi atteggiamenti creavano a Mattia non pochi grattacapi a causa di Michela. Però lui aveva finto di essere contento, perché aveva compreso essere la terapia migliore per superare la malattia. Era conscia che lui non aveva perso le speranze che prima o poi si sarebbe riavvicinata a loro. Però il tempo passava e la frattura diventava sempre più insanabile. Anche questa era una certezza, perché non desiderava ricomporre la rottura.
Laura, riflettendo dopo l’arrivo del SMS, percepiva che la situazione si stava deteriorando e precipitava verso la logica conclusione che avrebbe visto la loro separazione definitiva. Però non aveva trovato in precedenza il coraggio di affrontarla, rimandando sempre il chiarimento, anche se era sempre più difficile mascherare con amici e conoscenti il distacco palese dal marito e dalla figlia. Lo scollamento nelle relazioni familiari era talmente percettibile e netto che era a conoscenza che più di uno scommetteva per quanto tempo la loro unione avrebbe resistito.
Il messaggio perentorio di Mattia l’aveva messa di pessimo umore e non poteva essere altrimenti. Aveva altri progetti e aveva percepito un risveglio della sua essenza di donna ma adesso era tornata fredda e insensibile.
Laura era combattuta ancora una volta da due visioni: una che le suggeriva di ribellarsi e non andare all’appuntamento, l’altra di tornare a casa per il chiarimento definitivo, perché era sottinteso che l’argomento sarebbe stata la sua persona e il futuro di tutti.
In maniera similare Silvia non era riuscita ad entrare in sintonia con gli umori della casa. Le attenzioni di Laura le avevano procurato piacere ma lei si era sentita solo un oggetto inerte e passivo. Non era riuscita a dare ma solo ricevere. Questo le aveva procurato un senso di sofferenza. Poi era arrivato un messaggio e il clima era virato al brutto. La tensione era palpabile con nettezza come l’umore di Laura era diventato scontroso. Non aveva provato ad accennare a un tentativo di ricucire la tela strappata, perché in quegli istanti la percepiva distante ed assente. Ormai era lì e doveva rimanerci.
Ad aggravare la situazione aveva contribuito la telefonata con la madre che l’aveva irritata. Sapeva che il motivo era il rapporto con Laura e che non sarebbe riuscita a convincerla che sarebbe decollato. Per anni la madre non le aveva parlato né aveva richiesto il parere sul suo futuro, sugli amori, sulle frequentazioni. Era dunque in ultima analisi un’estranea. Però adesso aveva deciso di cambiare passo e di chiederle conto delle sue inclinazioni sessuali. Questo l’infastidiva terribilmente.
La mattina colse Silvia e Laura immerse nelle loro riflessioni, che in qualche modo si intrecciavano tra loro, ma senza che ne discutessero per trovare i punti in comune o per confrontarsi con le opinioni.
“Buongiorno, Silvia” disse Laura, quando percepì che la ragazza stava uscendo dal sonno agitato della notte. Però non aggiunse altro. Il loro rapporto prima di addormentarsi era stato frettoloso e freddo, come se avessero voluto ragionare solo su se stesse e non per compiacere l’altra. Era stato un vero fallimento rispetto alle aspettative immaginate. E aveva lasciato il segno sul loro umore.
“Ciao, Laura” rispose Silvia un po’ imbronciata e desiderosa di stare in silenzio.
“Avevo fatto altri programmi per oggi e domani, ma devo tornare a casa con una certa sollecitudine. Mi dispiace” aggiunse visibilmente contrariata.
“Forse è meglio così” replicò acida e scura in volto trattenendo a stento un nervosismo che sprizzava da tutti i pori tanto era percettibile.
Le telefonate della sera precedente avevano lasciato l’impronta, mentre entrambe non aspettavano altro: ritornare in città e salutarsi senza troppi complimenti. Forse sarebbe stato un addio, forse sarebbe stato la fine di qualcosa che non era nemmeno iniziato. Di sicuro non era stata un’esperienza da ricordare.
La giornata di ieri sembrava promettere bene con Laura desiderosa di scoprire una sessualità insolita e sconosciuta per lei, mentre Silvia smaniava nel sentire le mani della compagna posarsi sulla pelle e poter ricambiare le attenzioni. Però oggi c’era gelo tra loro, ognuna immersa nei pensieri che custodivano con cura dentro di sé senza rendere partecipe l’altra dei motivi di tanto nervosismo.
E rimasero in silenzio fino alla partenza.


Capitolo 17


Erano le undici quando Laura rientrò nella casa vuota.
“Meglio così” pensò mentre riponeva la borsa nell’armadio “Mi faccio una doccia e poi aspetto il loro rientro. Non credo che ci sia molto da dire. La soluzione è ..”.
Lei percepiva disagio e imbarazzo, perché dentro di sé covava quel conflitto duale tra il ribellarsi andando via e restare lì a discutere con loro.
“Andare dove?” diceva tra sé e sé. “Fuggire per non accettare il confronto? E perché?”. Comprendeva che sarebbe stata una strategia perdente, una resa senza combattere, un ammettere di avere torto. Il processo era per lei e i giudici erano di parte. Conosceva in anticipo il verdetto. Questo lo sapeva ma voleva lottare o quanto meno difendersi. Però non era ancora pronta psicologicamente ad affrontare il contraddittorio perché avrebbe dovuto affrontare argomenti che la vedevano sicuramente in fallo. Percepiva che si sarebbe trovata in posizione di relativa debolezza, perché l’iniziativa non era nelle sue mani. Erano gli altri che avevano la mossa di vantaggio e lei avrebbe dovuto rincorrerli.
Aveva riflettuto sugli atteggiamenti verso la figlia e il marito ed aveva convenuto che loro erano stati pazienti, accettando anche quello che non era accettabile.
“Quali argomentazioni potrei portare avanti per giustificare certi comportamenti?” continuava a dire a se stessa, ben sapendo che non ne aveva.
Formalmente aveva mostrato all’esterno di essere una madre premurosa e una moglie sincera, ma la realtà non era così. Era diversa: si sentiva estranea al loro modo di agire e vivere. “Sì, un corpo estraneo in questa casa” disse ad alta voce per rinfrancarsi.
Adesso le presentavano il conto. Era venuto il momento di mettere le carte in tavola e discutere di loro, di lei, del futuro senza nascondersi o fuggire alle proprie responsabilità. Questo non le piaceva, perché era costretta sulla difensiva.

Silvia rientrò a casa per niente contenta e visibilmente infastidita dall’intrusione della madre nella sua vita privata. Era un’entrata a gamba tesa per farle male. E questo non le garbava affatto.
Per anni Elisa si era sottratta ai doveri di madre e di guida, l’aveva lasciata abbandonata a se stessa. Mai una parola, mai un consiglio era uscito dalla bocca. Adesso voleva mettersi a discutere se il rapporto con Laura era corretto o meno.
Cosa ne sapeva Elisa delle sue inclinazioni, dell’attrazione verso il mondo femminile, quando era stata rintanata per anni, solitaria e silenziosa, nella dependance a scaricare fotografie, a lavorare al computer, ad ascoltare musica classica.
Al senso di irritazione nei confronti della madre si aggiungeva quanto era successo con Laura. Un’esperienza inizialmente piacevole ma terminata in maniera sgradevole. Scacciò quest’ultimo pensiero e si concentrò nuovamente sulla madre.
Silvia la vedeva, ma non sempre, a pranzo e cena per puro spirito di presenza, assente dai loro discorsi, finché lei e la sorella stanche di avere un commensale muto, il classico convitato di pietra, avevano deciso di farne a meno. Avevano imparato a gestire i pranzi senza l’aiuto di Elisa, che poco alla volta aveva smesso di presenziare.
Cosa facesse, chi frequentasse, dove andasse non l’aveva minimamente interessata fino alla sera precedente, ora voleva parlarle, discutere, gestire le sue relazioni, dare consigli, creare barriere e divieti, mettere dei filtri.
“Con quale diritto si arroga di governare la mia vita? I miei genitori, come tali sono morti dieci anni fa. Adesso come fantasmi si presentano e accampano diritti, quando i doveri non sono mai stati assolti. Io sono loro prigioniera e vivo da reclusa in questa casa”.
Il problema consisteva nel fatto che non era economicamente indipendente come la sorella, ma dipendeva dall’assegno che il padre versava mensilmente per lei alla madre. Dopo la maturità aveva smesso in pratica di studiare, anche se si era iscritta all’università per diventare una grafica senza dare nessun esame e non ne avrebbe dato sicuramente nessuno. Così aveva deciso di chiudere e di non sprecare altro denaro a partire dal prossimo autunno.
«Trovare un’occupazione senza l’aiuto di mio padre o di mia madre è nella sostanza impossibile salvo accontentarsi di lavoretti di scarso interesse ed economicamente incerti. La maturità scientifica con indirizzo artistico non mi offre nessuna possibilità di trovare qualcosa di adatto alle mie capacità. Dovrei chiedere il loro aiuto ma sarebbe una capitolazione con infamia e un’umiliazione che non voglio provare. Loro sono riusciti solo ad abbandonarmi al mio destino. Mi trovo dunque in un vicolo cieco, dal quale uscire non è per niente facile con le mie sole forze». Erano questi i pensieri di Silvia mentre si aggirava per la casa.
Stava frequentando il secondo anno di un corso di recitazione teatrale con discreto successo e sperava di trovare nel teatro lo sbocco economico che aveva cercato in questi anni. Però la strada era lunga senza nessuna certezza che poi avrebbe raggiunto l’obiettivo di rendersi indipendente.
Quindi per il momento doveva abbozzare, doveva restare in una casa che odiava, insieme alla sorella e alla madre, che non sopportava più. Però appena le fosse stato possibile se ne sarebbe andata via senza nessun rimpianto. Forse l’occasione si era presentata sotto forma della relazione con Laura, ma sembrava che anche questa opportunità fosse sfumata o quanto meno proiettata in un futuro incerto e nebuloso.
La casa era vuota, perché la sorella era in un qualche posto lontano col nuovo ragazzo e la madre in giro per lavoro.
“Non capisco perché si vuole intromettere nella mia vita“ rifletteva non propriamente in silenzio “quando Sofia cambia ragazzo tre volte al giorno. Perché non le chiede ragione di questo comportamento anziché rompere le scatole a me?”
Buttata la borsa con gli indumenti, acquistati il giorno precedente, sul letto, andò alla ricerca della madre, che come immaginava non c’era.
“Uffa!” imprecò nervosa ed irata perché era dovuta tornare a casa, quando aveva avuto ben altri obiettivi da soddisfare.
Ciondolò un po’ tra le varie stanze, poi decise che non valeva la pena di restare lì ed uscì.
“Tanto quando torno, la troverò di sicuro” disse chiudendo alle spalle la porta.



Capitolo 18


Mattia e Michela rientrarono praticamente insieme attorno alle dodici e trenta con poche speranze di trovare Laura. Dubitavano che volesse discutere con loro. Però si accorsero che si erano sbagliati.
La videro seduta composta e distaccata sul divano senza che si degnasse di un saluto. L’umore non era cordiale e la discussione non prometteva nulla di buono.
“Ciao” disse Mattia baciandola con affetto sulla guancia, mentre otteneva solo una specie di grugnito come risposta.
“Credo che sia giunto il momento di parlarci tutti e tre insieme e decidere quale futuro vogliamo riservarci” proseguì puntando in maniera diretta al punto focale dell’incontro. Era inutile girare intorno al problema da affrontare. Non sarebbe servito a nulla.
“Ciao, mamma” aggiunse Michela abbracciandola.
Laura rimase in silenzio accettando passivamente sia il bacio sia l’abbraccio. Anzi la ribellione che covava dentro di sé montava come l’albume nel frullatore. Si impose di stare calma, respirando profondamente e senza fretta. Non desiderava cadere nel tranello dello scontro, ma l’irritazione le stava giocando un brutto scherzo.
“Oggi” pronunciò scandendo con cura le parole “Oggi, avevo altri impegni ed altri obiettivi, ma siete riusciti a sconvolgere la mia giornata. Ora dite quello che avete da dire e finiamo in fretta questa commedia”.
Mattia raccolse tutte le sue forze per non rispondere con acrimonia alla battuta infelice di Laura, perché se la sarebbe meritata. Però non voleva finire in rissa, perché non avrebbe avuto la lucidità di esporre i suoi pensieri.
Contò mentalmente fino a dieci, mentre calmava il respiro ed i battiti del cuore.
Michela si girò perché non riusciva a trattenere le lacrime, che premevano intensamente per scendere sulle guance.
Lui inspirò profondamente e cominciò a parlare con calma, soppesando con cura i pensieri e modulando la voce per coprire l’irritazione crescente dentro di sé.
“Michela ha ormai ventidue anni ed è una donna oltre essere nostra figlia. Quindi è giusto che ascolti quello che i suoi genitori si devono dire. Non credo che ci siano obiezioni da parte tua”.
Mattia si fermò un attimo per rifiatare e chiamare a raccolta tutte le idee, perché non aveva preparato nulla e sarebbe andato a braccio come al solito.
La guardò con attenzione perché si era accorto che era un’altra persona quella che stava rigida ed impalata sul divano. “Non è Laura che conosco” pensò dentro di sé “E’ un’estranea”.
Tacque per qualche secondo, mentre stringeva Michela fra le braccia. Sperava sempre che Laura dicesse qualcosa, ma stava zitta ed assente come se quello che avevano da esprimere non la riguardasse.
“Visto che non ami far udire la tua voce, “ disse calmo Mattia “allora parlerò io e Michela se vorrà…” e stava per cominciare, quando la voce un po’ stridula di Laura interruppe il discorso.
“Cosa volete da me?” sparò parlando con acidità “Cosa avete da dire?” e poi stette zitta.
Lui non accettò la sfida e proseguì come se Laura non l’avesse interrotto.

Elisa tornò nelle prime ore del pomeriggio accorgendosi subito che Silvia era rientrata e poi era uscita di nuovo.
Sospirò, perché sperava di vederla lì in attesa pronta a discutere con lei.
“Peccato” si disse respirando profondamente e rumorosamente “Ora tocca a me restare in attesa a tormentarmi con dubbi ed incertezze”.
Rimase seduta in silenzio mentre la penombra avanzava nella casa finché non senti un calpestio nell’ingresso.
Non diede il benvenuto a Silvia, mentre pensava a cosa dire. Tutti i pensieri erano svaniti, persi nel buio della casa ed ora non c’era tempo per raccoglierli e rimetterli in sesto. L’attesa l’aveva svuotata dell’energia che faticosamente aveva raccolto dentro di sé.
“Ne troverò degli altri” disse con se stessa per trovare il coraggio di affrontare la figlia “Ora non penso a niente, poi le parole fluiranno da sole e i pensieri si formeranno come d’incanto”.
Silvia era ancora infuriata e non si accorse della presenza della madre.
Si agirò per la casa come se fosse ancora sola. Andò nella sua stanza, poi in cucina alla ricerca di qualcosa da mangiare. La voglia di incontrare Elisa e di discutere con lei l’aveva lasciato fuori dall’uscio, mentre in compenso le era venuto appetito.
Quando finalmente vide la madre nella stanza buia, seduta compostamente in silenzio, rimase un primo istante sorpresa e poi ricordò il motivo che l’aveva condotta a rientrare in città.
“Ciao” disse con tono neutro “Cosa fai al buio? Perché non mi hai salutato quando sono entrata?” e accese le luci della sala aspettando le risposte alle domande.
“Ciao” fu l’unica replica laconica di Elisa, che rimaneva seduta senza proferire alcun suono.
Silvia, spazientita da tanto silenzio, si fermò irritata e nervosa di fronte a lei e proseguì: “Hai detto che intendevi parlarmi. L’argomento qual è? Non riesco ad immaginarlo visto che sono anni che ti rifiuti di dialogare con me e Sofia”.
Poi tacque aspettando che Elisa facesse uscire qualche suono dalla bocca, anche se aveva molti dubbi che avrebbe avuto il coraggio di farle una predica su come conduceva la sua esistenza.
Ricordava con asprezza che stava a tavola con loro senza pronunciare una qualsiasi parola o dare segno di ascoltare le loro chiacchiere. Sembrava assente ed in trance rapita ed assorta in mille altri pensieri. Poi spariva come un fantasma fino alla prossima apparizione.
Continuava ad interrogarsi sui motivi che l’avevano indotta a richiederle di tornare con urgenza a casa. A volte le era sembrato che la madre avesse perso l’uso della parola, mentre adesso l’aveva riacquistato come per miracolo.
Elisa stava raccogliendo i pensieri disseminati per la testa per ricomporre le frasi e il tono di voce da usare tra pochi secondi.
Pazientò ancora un attimo e poi avrebbe cominciato a parlare.
“Silvia” esordì.
Come esordio non era proprio nulla di originale, ma doveva trovare la forza di incominciare un discorso.


Capitolo 19


La discussione durò a lungo con molta civiltà senza mai che si alzassero i toni della voce. Ognuno espose con calma i propri punti di vista rispondendo alle domande e ponendone a sua volta.
Da un lato Mattia cercava di esplorare i motivi del naufragio dell’unione con Laura, di rincalzo Michela con molto affanno e ansia aspirava a conoscere il perché la madre era stata assente dalla sua vita, mentre Laura con lucidità e decisione si difendeva ed attaccava le posizioni di Mattia.
Nessuno cedeva di un millimetro dalle proprie opinioni: era un bellissimo dialogo fra sordi pur avendo analizzato a fondo ogni aspetto della loro vita in comune.
Mattia non voleva giungere alla rottura e tentava di mediare, di trovare un compromesso per salvare venticinque anni di matrimonio, ma col passare delle ore si rendeva conto che la salita da percorrere era più ardua del previsto e che alla fine avrebbe dovuto arrendersi alle evidenze dei fatti ben chiari fin dall’inizio. Lui aveva sperato invano che Laura accettasse di rimanere con loro.
Michela si sentiva come un topo in trappola, ovunque si girasse trovava solide sbarre ad impedire il raggiungimento dell’obiettivo di conoscere le motivazioni del comportamento della madre nei suoi confronti. Le voleva bene nonostante la freddezza dimostrata finora, ma comprendeva che non sarebbe riuscita a smuoverla dall’atteggiamento di negazione che aveva tenuto per oltre venti anni.
Laura percepiva che Mattia e Michela le dimostravano un affetto sincero e profondo, che lei non era in grado di ricambiare o che non desiderava mutare le proprie intime convinzioni. Voleva riacquistare la libertà, ma aveva il timore di raggiungerla esattamente come un viandante aveva paura ad avventurarsi su un viottolo sconosciuto. Aspirava a tutto e al contrario di tutto. Era dilaniata da una perpetua contraddizione tra essere libera di agire ed essere all’interno di una famiglia che la sorreggesse nei momenti di difficoltà. Aveva raggiunto un pericoloso punto d’equilibrio instabile, dove era sufficiente un alito di vento per precipitare nel vuoto di un burrone profondo ed oscuro. Fino a qualche ora prima era ben determinata a concludere lo strappo col passato per iniziare una nuova fase della vita, ma ora era incerta ed indecisa, doveva riflettere.
“Mattia” pensava mentre ascoltava per l’ennesima volta Michela che la supplicava di spiegare i motivi dell’indifferenza “mi darà ventiquattro ore di tempo per prendere una decisione?”
Si domandava da dove nascevano tutti questi dubbi e perplessità. Forse era il tono calmo di Mattia che cercava di spiegarle gli errori di entrambi per sperare che la loro vita di relazione continuasse. Forse era il tono accorato di Michela che aspirava a percepire un afflato di amore mai assaporato finora. Forse era il turbamento che le aveva provocato Silvia con l’insistenza a cercarla. O forse la causa era lei stessa che era consapevole degli errori commessi e mai ammessi. Troppi se, troppi forse si agitavano dentro di lei senza che ciascuna delle motivazioni facesse pendere la bilancia da qualche parte. E questo le procurava stress.
Michela aveva cominciato a piangere sommessamente fra le braccia del padre, che con dolcezza le accarezzava i capelli arruffandoli leggermente come era stato solito fare all’inizio con la moglie.
“Laura,” cominciò con tono calmo ma duro e deciso “siamo qui a discutere da diverse ore senza giungere alla definizione del nulla. Nessuno di noi ha accettato di arretrare dalle proprie posizioni ed io sono il primo ad ammetterlo. Vorrei che il nostro rapporto fosse meno conflittuale e più aperto, ma in particolare vorrei che Michela percepisse il nostro affetto come tutte le ragazze della sua età. Non so se chiedo molto o poco, ma questo era quello che avrei voluto ottenere al termine di questa discussione franca ed aperta. Però ho compreso una cosa, che tu desideri la tua libertà senza i vincoli del matrimonio e dell’accudire una figlia. Quindi se è questo il tuo obiettivo, dillo apertamente e domani mattina darò l’incarico a Mario di avviare le pratiche per il divorzio”.
Di colpo nella sala scese un silenzio rotto solo dai respiri dei presenti.
Nessuno fiatava, tutti erano in attesa. Laura con il tumulto interiore ancora più intenso percepiva che doveva dare una risposta ad un quesito così diretto, ma lei voleva prendere tempo per riflettere e disse: “Hai ragione, Mattia. Devo prendere una decisione se restare in questa casa non più come ospite, ma partecipante attiva alla sua vita. Poche ore fa avevo le idee chiare, ora sono confusa su qualsiasi scelta da effettuare. Dammi tempo. Domani alle nove avrai la mia risposta”.
“E così sia” replicò Mattia concludendo il lungo incontro.
Laura andò nella sua stanza, dove prese qualche indumento, un paio di libri e diversi CD di musica classica, e uscendo aggiunse: “Mi ritiro in riva al lago a meditare in silenzio. Domani conoscerai le mie decisioni”.
Michela che era rimasta muta e frastornata, quando udì l’uscio di casa richiudersi alle spalle della madre, si precipitò tra le braccia del padre, affermando che non voleva che loro si separassero.
Mattia la guardò in viso e disse: “Non vedo altre alternative”.
Lui aveva adesso chiaro il quadro della situazione, mentre doveva pensare al dopo. Non si faceva illusioni sul tipo di risposta che avrebbe ricevuto perché era improbabile che Laura cambiasse atteggiamento nei confronti di Michela, la figlia non voluta. Non aveva affrontato finora l’argomento separazione per non compromettere l’equilibrio tanto faticosamente trovato per la figlia, ma ora non era più possibile rimandare.
“Michela,“ disse il padre guardandola negli occhi “non era possibile prolungare questa agonia. O la mamma cambia atteggiamento o se ne deve andare da questa casa. Io le voglio bene ora ed anche dopo, ma sta producendo su di te troppi guasti per non intervenire con decisione. Aspettiamo con pazienza domani”.
Padre e figlia rimasero a chiacchierare ancora su di loro, sugli effetti che la separazione avrebbe comportato, sui commenti degli amici e conoscenti.
Poi uscirono per andare a cenare nella trattoria vicino a casa per sentire meno il vuoto dentro di loro.




Capitolo 20


“Silvia,“ cominciò la madre tra titubanze e tentennamenti “capisco che ormai sei una donna ed io non sono stata in questi anni quello che si dice una madre priva di pecche. Però non posso fare a meno di disapprovare il rapporto che hai con l’insegnante di recitazione, quella regista ormai matura con cui ti vedi e ti senti”.
Si fermò osservando attentamente la figlia in piedi dinnanzi a lei senza distogliere lo sguardo.
Silvia diventò rossa per l’ira che stava montando e aprì la bocca per urlarle in faccia tutto il malumore che aveva covato in questi anni, ma non uscì alcun suono.
Sembrava incapace di parlare, di connettere i molti pensieri che frullavano liberi nella mente, un’improvvisa afasia le impediva di pronunciare qualsiasi lettera.
“Siediti e calmati” proseguì la madre, mentre le faceva posto sul divano.
Elisa parlò con pacatezza a tono basso mentre Silvia calmava a poco a poco il tumulto interno che le aveva impedito di proferire parola.
Discussero a lungo del rapporto con Laura, degli errori che Elisa aveva commesso con le figlie, dei rapporti tesi con Riccardo attraverso un confronto serrato ed aspro allo stesso tempo.
Silvia difese con ostinazione la scelta di evitare gli uomini, perché percepiva che erano le donne che occupavano la sua mente. E questo l’aveva scoperto a poco a poco dopo l’abbandono del padre. Continuava a non comprendere perché la madre non voleva accettare la scelta di escludere gli uomini dai suoi pensieri.
Silvia era confusa nell’esposizione e nei pensieri che nascevano all’interno, non riusciva a svolgere logicamente le idee, che si ammassavano caoticamente come uno stormo di uccelli impauriti dagli spari dei cacciatori.
Elisa senza fretta e con pacatezza smontava le teorie, le argomentazioni, i pensieri, perché le affermazioni erano prive di solidità, sconnesse e piene di luoghi comuni.
Avrebbe avuto vita facile a convincerla nel lungo termine, se Silvia avesse proseguito sulla strada intrapresa, e aspettava sorniona.
Non aveva fatto però i conti con la tenacia e l’ostinazione della figlia, che riusciva a rendere razionali i propri pensieri tramite le risposte di Elisa, come quei software che affinano i propri modelli attraverso le tecniche di intelligenza artificiale.
Silvia si sentiva rinfrancata e sempre più lucida nei pensieri, mentre riannodava i fili della mente.
“Mamma,“ disse ergendosi davanti a lei “siamo qui da diverso tempo e nessuna delle due è riuscita a convincere l’altra. Non capisco perché dopo anni di silenzio e di disinteresse ora vuoi convincermi che il mio rapporto con Laura è sbagliato. Inoltre hai coinvolto inutilmente anche Riccardo, che non vedo e non sento da oltre quattro anni e con il quale non intendo riallacciare nessun rapporto. Ormai sono una donna e la mia sessualità la decido io”.
Poi si allontanò senza salutare per rinchiudersi nella sua stanza. Per sbollire l’ira della lunga discussione mise le cuffiette dell’IPOD per ascoltare i Coldplay. Mentre la musica invadeva col suono martellante la sua mente, lei si sentiva come un uccello prigioniero che poteva osservare il mondo solo tramite la vista offerta dalla gabbia.
Elisa rimase per un po’ seduta percependo che era fallita prima come moglie poi come madre. Il suo rapportarsi con le altre persone era quello di porsi al centro dell’attenzione mentre faceva affidamento su un potere che forse era solo nella sua immaginazione.
Pensava di diventare archeologa e girare il mondo, ma era diventata schedatrice di ruderi, reperti fatiscenti e qualche crosta sfuggita alle ruberie. Un momento di scoramento l’assalì, mentre stava pagando il prezzo della tensione accumulata in tutti questi anni. Era svuotata di tutto, dai pensieri alle forze, e pensava al ruolo a cui era stata condannata senza che lei potesse opporsi.
Si alzò lentamente con gli occhi pieni di tristezza per andare, ma non lo sapeva nemmeno lei.
Aprì la porta e sparì.
Silvia aspettava la madre nella stanza per dire qualcosa, udì la porta chiudersi e poi il silenzio che calava nella casa.
Tolse le cuffiette ed andò nella sala, dove trovò appoggiato sul divano il telefono di Elisa che pulsava per una chiamata in arrivo e un paio di SMS in attesa di essere letti. Corse alla dependance nella speranza vana di trovarla immersa nei suoi pensieri, ma anche lì regnava buio e silenzio.
Si accasciò disperata mentre le lacrime bagnavano il suo viso.
Ora sapeva che non l’avrebbe più rivista.

FINE

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