Capitolo 11
Michela
si avviò verso casa, perché sentiva dentro di sé la necessità di raccogliere i
pensieri che erano scaturiti durante la mattinata e rimettere insieme i
frammenti della sua vita. Non aveva senso rimanere in quelle aule popolate da
facce sconosciute, che la guardavano con desiderio misto a curiosità, che la
spogliavano dalla corazza con cui finora si era fatto scudo, lasciandola nuda e
indifesa. Percepiva ancora sulla propria pelle lo sguardo energico e voglioso
del ragazzo che con una scusa banale aveva cercato di parlarle, di conoscerla,
di avvicinarla. Si sentiva sola senza amici, vuota negli affetti ed insicura
nelle azioni. Però si domandava se questo era in parte colpa sua, visto che
rifiutava il contatto con gli altri.
Il suo
guscio protettivo si stava sgretolando giorno dopo giorno, mentre lei intuiva
di essere sotto spoglia fisicamente e psicologicamente. Si domandava se sarebbe
stata in grado di reagire al senso di ansietà che la stava tormentando e
trascinando verso il basso. Sua madre era sempre più assente o meglio
evanescente come un fantasma, mentre suo padre le era accanto pronto a
sostenerla in ogni momento. Questo però secondo lei non era sufficiente a
ritrovare dentro di sé quel senso di sicurezza smarrito negli ultimi anni. Lei
non era riuscita a impedire questa deriva, ma adesso doveva fermarla prima che
fosse troppo tardi.
Una
cosa non era riuscita a comprendere pienamente, perché suo padre si ostinasse a
vivere sotto lo stesso tetto con sua madre, che visibilmente lo detestava e a
stento lo sopportava.
Michela
pensava che non avrebbe esitato un attimo ad andarsene, se lei fosse stata al suo
posto, perché non sarebbe riuscita a sopportare l’indifferenza di Laura, il
disprezzo nemmeno troppo velato e mascherato verso entrambi.
Le
veniva da piangere, mentre a passi svelti si avvicinava a casa, sperando di
trovare il padre solo senza la presenza della madre. Voleva parlargli, discutere
con lui di Laura, della loro vita e del loro futuro.
Michela,
entrata nell’abitazione, scoprì che lui non c’era e forse non sarebbe tornato a
pranzo. Si sentì perduta, perché aveva bisogno di sfogare le paure, le angosce,
i dubbi profondi che stavano minando le poche certezze delle quali si era
nutrita fino a quel momento.
Intuiva
che, se non l’avesse fatto, non sarebbe stata in grado di reagire alla
sensazione di sconforto e frustrazione che subdolamente si stava insinuando
dentro di lei.
Si
accasciò sulla poltrona con lo sguardo smarrito di un animale intrappolato,
mentre le lacrime ripresero a scendere per inumidire le guance.
«Papà, vieni a casa. Ho bisogno di te. Dobbiamo
parlare. Michi” e affidò il
messaggio alle onde che solcavano il cielo, sperando in una fulminea risposta.
Mentre
aspettava ansiosa, chiuse gli occhi e si assopì lentamente. Come in un film,
rivide le sequenze della vita tra flash e ricordi in maniera tumultuosa ed
incoerente. La madre, Laura, campeggiava e sovrastava tutte le immagini, mentre
il padre, Mattia, restava nell’ombra che il corpo proiettava nella mente.
La
domanda ricorrente era perché sua madre non era partecipe della sua vita.
“Cosa
ho fatto per essere un’estranea per lei?” si domandava nel sonno agitato e
popolato di sogni ed immagini, che come un immenso caleidoscopio si
scomponevano e si ricomponevano in formati e forme differenti.
Nel
dormiveglia le veniva da singhiozzare, mentre le lacrime inumidivano le ciglia.
Mattia
si immerse nel lavoro, mentre un tarlo continuava a lavorare nella mente in
modo silente ma costante. Metà del suo corpo seguiva il suo aplomb
professionale, impeccabile come un austero inglese di buona memoria, mentre
l’altra metà sentiva la necessità di capire perché il rapporto con Laura si era
ridotto a impercettibili monosillabi «Sì, no».
Con
Anna non era stato mai in confidenza, pur conoscendola da quasi vent’anni; però
oggi sentiva il bisogno impellente di articolare parole con qualcuno, di
esternare il dolore e la rabbia accumulata in tutto questo tempo. Non voleva
consigli o suggerimenti, ma semplicemente parlare ed essere ascoltato senza
commenti o parole, in silenzio. Voleva sfogare all’esterno tutto quello che
aveva represso per lunghi anni, occultandolo sotto la maschera di ipocrita circostanza.
La
mattina trascorse lenta, come mai lo era stato in precedenza, mentre ascoltava
distratto le richieste dei clienti, prendendo appunti ed attivando la
registrazione dei colloqui. Era mentalmente assente. Non era mai capitato. E
questo gli diede la sensazione che la misura era colma.
Aspettava
con inquietudine che anche l’ultimo visitatore se ne fosse andato, lasciandolo
finalmente solo con i suoi pensieri, con le sue ansie, con i suoi timori per
Michela, che soffriva questa situazione assurda e balorda forse molto più di
lui. E questo acuiva il senso di colpa e di inadeguatezza.
Si
apprestava a congedare l’ultimo cliente della mattinata, quando sentì un
leggero ronzio accompagnato da una breve melodia. Era arrivato un SMS, ma non
poteva distrarsi troppo, perché voleva liquidare in fretta le tre persone
sedute di fronte a lui per dedicarsi solo a se stesso.
Finalmente
solo si rilassò e si appoggiò allo
schienale, dimenticandosi di vedere chi aveva scritto. Chiamò tramite
l’interfono: “Anna, chiudi tutto. E’ ora di andare al ristorante”.
“Sì,
Mattia” rispose con tono leggermente ansioso “Tempo cinque minuti e sono
pronta”.
Adesso
poteva concentrarsi su quello che frullava in testa dalla mattina con
insistenza. Doveva solo raccogliere quanto era sparso nella mente per
impacchettarlo con cura, perché tra un po’ ne avrebbe avuto bisogno per esporlo
con chiarezza.
Mattia
prese sotto braccio Anna, che docile si sistemò al fianco. Quel contatto le
fece percepire un’improvvisa voglia di lui, mentre si incamminarono verso il
Don Giovanni, dove un tavolo riservato li aspettava.
Il
posto non era lontano ma distava il tempo di una breve passeggiata. La giornata
era bella, come raramente capitava a Milano, sempre uggiosa, mai limpida. Il
cielo era terso e in lontananza si vedevano i monti che sovrastavano la
Brianza.
Anna
si strinse ancora più vicina a Mattia, che immerso nei suoi pensieri non
percepì il messaggio che la segretaria gli stava trasmettendo.
Il
tragitto era stato silenzioso, ma ognuno dei due riponeva molte speranze nel
pranzo: Anna di essere notata da lui e Mattia di capire dove aveva sbagliato.
Però, forse, alla fine non avrebbero ottenuto nulla nessuno dei due.
Il
tavolo era in un’area appartata e discreta, lontana dalla curiosità degli altri
frequentatori: Anna lo aveva scelto per potere stare più tranquilli a
conversare.
Il
maitre arrivò silenzioso a raccogliere le ordinazioni, quando Mattia si ricordò
che qualche tempo prima era arrivato un SMS, che non aveva letto.
“Anna”
disse sbiancando in viso, “mi dispiace ma non posso trattenermi. Mia figlia ha
bisogno di me” e rivolgendosi al maitre, che impassibile aspettava fermo di
fianco a loro, disse “Sono desolato, ma non posso gustare i vostri piatti. La
signora si trattiene a pranzo. Raddoppiate l’importo come se io avessi
pranzato. Pagherà tutto lei. Arrivederci”.
Strinse
la mano ad Anna, mentre si alzava dal tavolo e soggiunse: “Non so se rientro
nel pomeriggio. Sarebbe opportuno disdire gli appuntamenti. Ci sentiamo più
tardi”.
E se
ne andò.
Ad
Anna mancò il respiro come se una mano invisibile le avesse stretto la gola,
mentre le lacrime salivano dal basso verso gli occhi. Però non era il momento
di piangere in quel posto dove era conosciuta come la fidata segretaria di
Mattia; quindi era il caso di ricacciare in gola le gocce di pianto per poi
sfogarsi più tardi.
Ordinò,
mangiò in silenzio senza alcuno stimolo, frettolosamente, perché voleva fuggire
da lì per dare sfogo alla rabbia e alla delusione.
Ripensandoci
bene, comprese che era stata una fortuna che non fosse avvenuto nulla e non
avesse palesato il suo desiderio verso di lui. Mentre masticava il cibo senza
percepire il sapore, disse a se stessa che sarebbe stata incauta manifestare le
emozioni più intime, perché aveva un marito verso il quale provava affetto e un
figlio che era nell’età di transizione, né bambino, né ragazzo. Avrebbe potuto
compromettere quasi vent’anni della sua vita per una voglia dai contorni
incerti. Pagò come le era stato ordinato, nonostante che il proprietario
insistesse che solo un pasto era stato consumato, e si avviò verso l’ufficio
per consentire alle lacrime di sgorgare copiose dagli occhi.
Mattia
era impaziente di arrivare a casa per sentire la voce di Michela e dare corpo
alle domande che inevitabilmente gli avrebbe posto.
La
situazione con Laura era troppo compromessa per pensare alla ricomposizione di
una frattura che era diventata col tempo un solco amplissimo, dove non sarebbe
stato possibile costruire nessun ponte per collegare le due sponde. Doveva
prendere una decisione secca senza tentennamenti. Per quanto potesse essere
doloroso per lui, doveva preservare Michela, la figlia tanto amata quanto
desiderata, da ulteriori sofferenze.
“Sì,“
disse mentre guidava nervosamente nel traffico caotico di Milano, “sì. Devo chiudere
con Laura. Stasera le comunico che intendo divorziare e dare mandato al mio
avvocato per avviare le pratiche. Non posso permettermi di perdere anche
Michela, che ultimamente vedo molto sofferente ed emotivamente agitata”.
Arrivato
in casa vide la figlia distesa sul divano che dormiva tempestosamente, mentre
teneva stretto il telefono in attesa di un messaggio che non sarebbe mai
arrivato.
Michela
aprì gli occhi ed abbracciò il padre.
Capitolo 12
Elisa
si alzò presto la mattina del 13 aprile perché doveva inventariare nuovi
oggetti ed immobili sparsi tra le colline della Brianza. Lavorava alla
Sovrintendenza della regione Lombardia da diversi anni. Aveva ricevuto
l’incarico di curatrice del catalogo degli oggetti d’arte e degli immobili per
ognuno dei quali doveva preparare una scheda dettagliata e corredata da molte
fotografie. Era un lavoro che le piaceva, perché poteva stare sola coi suoi
pensieri senza interferenze esterne e poteva assecondare la sua passione per la
fotografia.
Preparò
con cura lo zainetto che portava con sé quando andava per cascine, borghi e
chiesette isolate. Prese le macchine fotografiche, controllando che fossero in
ordine, qualche pila di scorta, il caricabatterie da auto, un paio di schede di
memoria e diversi rullini. Depose tutto questo materiale con cura nella sacca,
dove aggiunse un paio di bottiglie di acqua e diversi pacchetti di cracker per
precauzione. Non doveva mancare nulla.
Era
molto meticolosa nel preparare quello che le serviva durante le uscite in
campagna, perché non amava intoppi o dimenticanze che avevano il potere di
innervosirla.
Aveva
avuto in dotazione dalla Sovrintendenza oltre ad una macchina fotografica
digitale e a un telefono anche una vecchia Panda 4X4, molto utile quando doveva
affrontare percorsi fuori strada o accidentati.
Mentre
completava la preparazione, stava ripensando ancora una volta nel giro di pochi
giorni alla sua vita ed in particolare dal momento in cui si era separata da
Riccardo. E i ricordi non erano piacevoli. Troppi vuoti, troppi silenzi come la
casa deserta. E lei si sentiva estranea a questo mondo.
Sofia
era via con l’ennesimo “boyfriend”, mentre Silvia stava con la regista teatrale
in un qualche luogo sconosciuto. In sostanza non sapeva dove erano le figlie e
come conducevano la loro vita. Erano diventate per lei delle perfette estranee.
In realtà erano tutte e tre delle estranee tra loro.
Si
rendeva conto che non era stata una brava madre, né era riuscita a guidarle,
perché erano cresciute senza punti di riferimento né paterni né materni. Era
già un miracolo che non avessero sbandato vistosamente, ma che fossero rimaste
in carreggiata pur su strade ignote a lei.
“Oggi
è la giornata adatta per riflettere su questi punti” disse ad alta voce senza
il timore di essere udita “il tempo non mi mancherà mentre sono in giro”.
Chiuse
con cura la casa e avviò l’auto, guidandola verso le colline della Brianza.
Spense il TomTom, perché non le sarebbe servito e poi l’avrebbe solo distratta.
Aveva segnato come al solito su carte dettagliate in scala 1:2500 tutto il
percorso della giornata e questo le era più che sufficiente per orientarsi e
non perdersi tra viottoli di campagna e sentieri appena abbozzati.
Il
giorno era luminoso e limpido, quando infilò una strada stretta che tagliava i
campi coltivati ad erba medica. Il cielo era terso con qualche fiocchetto
bianco, l’aria era trasparente come non si vedeva da più di un mese. Si sentiva
serena e tranquilla, pronta a riflettere su se stessa e sulle proprie mancanze.
Si
fermò innumerevoli volte a fotografare, a segnare sulle mappe vecchie cascine,
qualche rudere di dimora, un tempo abitate da ricchi e blasonati personaggi
dell’ottocento, chiesette abbandonate e malandate, depredate di tutto, di cui
erano rimasti in piedi a stento i muri perimetrali.
Era
mezzogiorno quando vide sul lato della strada un’immensa quercia, che invitava
a fermarsi. Accostata la Panda all’ombra dell’immenso albero, che fotografò da
ogni angolazione, si sistemò sotto le fronde per ristorarsi con acqua e qualche
frutto acquistato durante il suo girovagare.
Elisa
era stata sempre introversa, schiva e refrattaria a mettersi in mostra, ma
sapeva perfettamente che era in grado di sprigionare una forte carica sessuale,
quando voleva. Ora però aveva messo in soffitta questa volontà finendo
nell’anonimato, come quando decideva di mimetizzarsi.
Era
conscia di queste capacità, come era in grado di percepire che il malessere
culminato dalla rottura con Riccardo era nato molto tempo prima, quando erano
nate le due figlie. Loro avevano infranto i suoi sogni di diventare archeologa.
E il mancato raggiungimento degli obiettivi l’aveva molto frustrata in tutti
questi anni, creando un sordo risentimento verso tutti.
Si era
sentita prigioniera di un ruolo che non le apparteneva, mentre vedeva nelle
figlie e nel marito l’ostacolo insuperabile al perseguimento delle sue
aspirazioni. Era una barriera invisibile che l’aveva progressivamente fatta
richiudere su se stessa. Ora sembrava un riccio impenetrabile pronto a pungere
chiunque avesse osato prenderlo in mano.
Il
colpo di grazia era stato sicuramente la separazione. Così Sofia e Silvia
furono abbandonate a se stesse proprio nel periodo in cui avrebbero avuto
maggiore necessità del supporto dei genitori.
Sofia
era diversa dalla sorella, assomigliava molto a Riccardo, al quale segretamente
chiedeva spesso consiglio. Lo sapeva, anche se nessuno le aveva detto niente,
perché percepiva chiaramente il filo invisibile che li legava. Se da un lato
questo andava bene, d’altra parte si sentiva tagliata fuori dalle confidenze
della figlia, ammesso che lei le avesse voluto ascoltare.
“Come
posso pretendere che Sofia si confidi con me?” pensava amaramente “Quando io
sono stata la prima ad abbandonarla?”
Ora a
quasi ventisei anni non aveva ancora relazioni stabili, cambiava ragazzo ogni
settimana, spesso li portava a far conoscere a lei, anche se alla fine non
gliene importava nulla. Le sembrava che fosse ancora immatura sentimentalmente,
indecisa sulle scelte, spesso sbagliate, e troppo disinibita. Fortunatamente
dopo il corso di laurea breve in economia Riccardo l’aveva fatta assumere come
impiegata amministrativa in una piccola ma solida azienda, così che non aveva
preoccupazioni economiche.
Elisa
ora capiva che difficilmente sarebbe riuscita a modificare gli atteggiamenti di
Sofia in campo sentimentale, ma al rientro stasera avrebbe chiamato Riccardo
per discutere di questo argomento.
“Alla
fine è sempre suo padre! E finora è stato sempre assente.” si disse ad alta
voce, mentre sorseggiava un po’ di acqua.
Silvia
era il suo cruccio, perché la percepiva più vicina a lei come carattere, ma era
distante anni luce come persona. Vedeva in lei un animale selvatico pronto a
fuggire nel folto del bosco per nascondersi agli esseri umani e ai cani da
caccia che la inseguivano.
Non
frequentava né ragazzi né ragazze, non aveva amiche, non si confidava con
nessuno, era una minuscola sfinge impenetrabile. Però aveva molto talento
artistico, quello che era mancato a lei.
“Silvia
ha talento e sensibilità da vendere,” proseguì nella riflessione sulla figlia
“è talmente in gamba che riuscirebbe ad emergere in qualsiasi campo dell’arte.
E’ caparbia e determinata nell’inseguire le sue mete. Sta frequentando un corso
di recitazione, ma sono sicura che alla fine sarà la migliore”.
Quello,
che la preoccupava maggiormente, era la mancata frequentazione di coetanei,
come se questo mondo non esistesse per Silvia. Questo aspetto della personalità
della figlia l’aveva cominciato a notare dopo la separazione dal marito. Però
come al solito era rimasta muta spettatrice senza chiederle le motivazioni. E
col passare degli anni si percepiva sempre più nettamente.
Da due
anni frequentava un corso per attori di teatro, quasi tutte persone più anziane
di lei, un mondo dove i rapporti erano promiscui e liberi senza regole
apparenti. Silvia li aveva descritti in un diario dove appuntava sensazioni e
pensieri in libertà.
Non
era sua abitudine spiare o leggere di nascosto le figlie, ma un giorno Silvia
aveva lasciato nella dependance, dove da tempo viveva sola, un libretto rosso
chiuso da un elastico.
Il primo
impulso la consigliava di lasciarlo lì senza toccarlo, ma poi la curiosità fu
grande e lesse alcune pagine. Il suo interesse era quella di una mamma che
avrebbe voluto conoscere meglio la personalità della figlia. Lei ignorava tutto
di Silvia dagli amici, ammesso che ne avesse, alle altre persone che
gravitavano intorno a lei. Era un libro scritto con il colore dell’inchiostro
simpatico, per diventare poi un foglio bianco.
Scoprì
così la passione morbosa verso la regista che era anche l’insegnante del corso.
Aveva qualche anno di meno di Elisa e ne avrebbe potuto essere la madre. Rimase
scioccata a tal punto che smise di leggere altre pagine, mentre riponeva il
tutto esattamente come l’aveva trovato.
Il
pensiero che Silvia amasse una donna l’aveva sconvolta, ma era incapace di
affrontare con lei l’argomento. Tutte le notti si diceva che la mattina dopo
avrebbe affrontato il problema, ma poi rinunciava, perché non riusciva a
trovare le parole adatte per iniziare il discorso. Comprendeva che quel
rapporto sarebbe stato foriero di molti dispiaceri per Silvia, ma non riusciva
a trovare l’antidoto necessario.
Questa
mattina di buon ora era partita per un luogo imprecisato con questa regista,
quindi non faticava molto ad immaginare cosa sarebbe successo.
“Devo
parlarne anche di questo con Riccardo?” si interrogava dubbiosa “Oppure devo
affrontare l’argomento da sola con Silvia?”
Poi un
altro pensiero le attraversò la mente: “Perché solo ora dopo dieci anni sento
la necessità di parlare con Riccardo di questi temi che vertono sulle nostre
figlie?” e come una raffica di vento sgombrava il cielo dalle nuvole così anche
questa ultima considerazione sparì dalla testa.
Incerta
su come agire risalì in macchina per completare il programma della giornata.
“Avrò
il coraggio di parlare con Silvia?” si chiese sottovoce, mentre avviava l’auto.
Capitolo 13
Laura
si sciolse dall’abbraccio di Silvia e si guardò intorno alla ricerca di un
riferimento che nemmeno lei sapeva quale era. Si sentiva turbata ed irresoluta
nelle azioni e nei pensieri, lei che decideva in un attimo e che mal tollerava
le persone indecise.
L’ansia
stava facendo capolino nella sua mente senza preavviso, preannunciando l’arrivo
di un attacco di panico. Era sempre riuscita a controllarsi e a mascherare bene
le sue fobie, ma ora percepiva la difficoltà ad avere la padronanza dei
comportamenti. Doveva respirare con calma e profondamente, rilassarsi e
assecondare la mente per autocontrollare i battiti del cuore che di lì a poco
avrebbero cominciato ad accelerare come un metronomo impazzito. Erano diversi
mesi che non era soggetta a un attacco in presenza di altre persone e quasi se
ne era dimenticata. Si era imposta di non assumere medicinali per non diventare
schiava dell’ansiolitico, ma adesso se ce ne fosse stato uno a portata di mano
l’avrebbe preso volentieri.
Si
allontanò in maniera secca da Silvia cercando di concentrare la mente negli
esercizi di yoga che le avevano insegnato. Si sedette con calma su una sedia a
dondolo sotto la finestra ancora sbarrata nell’attesa che tutto passasse.
Silvia
non comprendeva questo brusco e repentino distacco, mentre percepiva che era
mutata l’atmosfera da allegra a tesa. Voleva chiedere spiegazioni, ma lo
sguardo deciso di Laura non lasciava dubbi: era meglio tacere.
Dopo
essersi seduta l’ansia stava rapidamente scemando come velocemente era
arrivata, mentre riacquistava il controllo del corpo. Laura le chiese con
gentilezza di aprire le finestre per far entrare nella stanza aria fresca e
raggi di sole. Lei nel frattempo avrebbe portato all’esterno un paio di sedie e
un piccolo tavolo di legno.
L’attacco
sia pur lieve era un brutto segnale del corpo, che pareva ribellarsi all’idea
dell’inizio di una relazione con l’allieva.
“Devo
parlarne oppure fingere che non sia mai avvenuto?” diceva silenziosamente
dentro di sé, mentre osservava la figura minuta di Silvia che ubbidiente si
muoveva per la stanza.
La
parte razionale le consigliava di lasciar perdere la ragazza, di non
invischiarla in giochi pericolosi, ma l’altra parte insisteva nel desiderio di
saggiare le sensazioni che avrebbe provato nella relazione con Silvia.
“Mi
domando perché percepisco la voglia intensa di allacciare questo rapporto.” si
chiedeva con un pizzico di ansia. “Ormai ho quarantacinque anni, anzi
quarantasei tra non molto, non ho mai pensato di amare una donna ed ora scopro
di essere attratta da una ragazza che potrebbe essere mia figlia. Mi domando
ancora cosa sta succedendo dentro di me? Quali trasformazioni subirò ancora?”
Mentre
trasportava fuori l’ultima sedia decise di incoraggiare la curiosità di
analizzare come i suoi sensi da tempo assopiti avrebbero reagito al contatto
col corpo di Silvia.
La
chiamò verso di sé scusandosi per prima, mentre la sistemava sulle gambe.
Cominciò a baciarla dietro la nuca in modo leggero, mentre le mani
delicatamente si insinuavano sotto la canotta alla ricerca dei capezzoli.
Sentiva
il corpo di lei fremere lievemente, mentre le mani sfioravano i piccoli seni
induriti dal piacere. Avvertiva delle sensazioni nuove, sconosciute che la
fecero impaurire per un attimo, ma c’era tempo per capire e domare queste
emozioni sempre che fosse riuscita a controllare se stessa. Aveva compreso che
il contatto con la pelle della ragazza l’avevano eccitata, mentre il suo sesso
sembra essersi risvegliato dopo un lungo letargo.
Si
chiese se si doveva lasciare trasportare da queste sensazioni e continuare nei
giochi erotici. Però la parte razionale le disse: “Perché rovinare questo momento
per la fretta di percepire quanto sei infoiata. Aspetta e gusta con calma questi
istanti di piacere da assaporare con lentezza”.
Si
riscosse e disse in un orecchio a Silvia: “Che ne dici se proviamo la parte di
Giulietta nel primo atto scena terza?”
Lei
annuì, anche se avrebbe voluto restare ancora lì a contatto col corpo di Laura,
con le mani di lei che frugavano con discrezione la pelle, con le vampe di
piacere che inondavano il sesso. Però un’inspiegabile sensazione pervadeva la
mente della ragazza, che si era svuotata da ogni pensiero.
«Sento
il desiderio avvolgermi come una tunica leggera, ma qualcosa dentro di me mi
frena come se quello, tanto a lungo agognato, fosse inopportuno. In tutti
questi anni non ho mai pensato all’etica, a quello che appare o non appare,
alla riprovazione delle persone su relazioni omosessuali, ma ora un dubbio
simile ad un tarlo perfora la mia mente. Quando ho perso la verginità, non mi
sono posta questo problema. L’ho fatto e basta senza remore o ripensamenti.
Adesso sono qui a pormi queste domande.»
Erano
questi i pensieri ai quali Silvia chiedeva delle risposte, mentre si alzava per
rientrare in casa. Però la mente sembrava non assecondare le emozioni e i
quesiti rimanevano scatole vuote.
Alla
mattina, quando Laura era passata da casa a prenderla, era piena di idee, di
parole da dire, da manifestare, pareva un vulcano in eruzione. Poi durante il
viaggio tutto si era affievolito come nebbia in dissolvenza per effetto dei
raggi solari. Il carisma, la personalità di Laura l’aveva annichilita, aveva
frantumato i pensieri, che dapprima si sparsero e poi si dissolsero. Era felice
di entrare in questa casa per respirare l’aria che emanava, ma adesso era
sbigottita e non percepiva nulla di tutto quello che aveva immaginato. Era passiva
ed accettava le attenzioni di Laura senza quell’entusiasmo che aveva provato
durante il sonno. Il panorama era mutato mentre lei pareva impaurita di
qualcosa che non riusciva a definire.
Si
riscosse da questi pensieri opachi e sfocati con la canotta ancora arrotolata
sopra il seno, mentre era seguita come un’ombra da Laura.
Silvia
sapeva già cosa sarebbe successo in casa. Laura con la scusa di aiutarla a
mettersi il costume di Giulietta avrebbe fatto scivolare le mani sulla pelle
fino al monte di venere, mentre le baciava il collo. Lei sarebbe stata pronta a
ricevere altre vampe di passione remissiva ed accondiscendente, perché provava
piacere sentire come quelle mani delicatamente esploravano il corpo. Però altri
dubbi, altre domande si sarebbero affacciate impertinenti nella mente, mentre
il senso di incertezza sarebbe cresciuto ed albergato dentro di lei.
Laura
una volta all’interno le cinse le spalle e delicatamente la spogliò, mentre la
ragazza rimaneva passiva a subire. Le mani e la lingua scivolavano leggere sul
corpo alla ricerca del piacere, esattamente come Silvia aveva previsto. Il
sesso si inumidì mentre la mente s’incendiò di un benessere da appagamento.
Avrebbe voluto ricambiare ma qualcosa la tratteneva. Era Laura che voleva dare
ma non ricevere. La sentì ansare mentre esplorava con le mani il suo monte di
venere pronto a esplodere.
Poi
percepì il distacco e capì che il momento magico era terminato. L’esperienza
era stata appagante ma non soddisfacente. Un pizzico di delusione affiorò sulle
labbra arricciate. Afferrò dallo scatolone il vestito di Giulietta e in
silenzio lo indossò. Era giunto il momento di provare. La guardò e osservò che
si era ricomposta e aveva assunto un’aria professionale. Quindi nulla di tutto
quello che aveva sognato si stava avverando.
Laura
preso il copione dalla macchina sistemò la stanza per dare una parvenza di
scena mentre impartiva le ultime istruzioni a Silvia. Lei inizialmente avrebbe
sostenuto il dialogo della madre e della nutrice, mentre la ragazza avrebbe impersonato
Giulietta.
WIFE: Nurse, where’s
my daughter? Call her forth to me.
NURSE: Now, by my
maidenhead at twelve year old, I bade her come. What, lamb! What, ladybird! God
forbid! Where’s this girl? What, Juliet!
Dalla
scala scese Juliet col suo superbo abito di broccatello blu, che esaltava le forme
del corpo.
JULIET: How now? Who
calls?
Laura
la interruppe perché l’entrata in scena non era appropriata e il tono della
voce troppo basso e tremolante.
“Così
non va! Più sicurezza, più personalità! Riproviamo”.
Riprovarono
la scena più volte con monotona pedanteria a riprendere il tono della voce, il
muoversi durante l’azione, il tenere lo sguardo fisso dinnanzi a sé. Silvia
docilmente seguiva le indicazioni di Laura per migliorare il comportamento e la
dizione senza nessuna protesta.
Dopo
innumerevoli prove si sistemarono per una breve pausa all’esterno sorseggiando
acqua e mangiando alcuni frutti. Durante le varie interruzioni Silvia aveva disegnato
con abilità fondali ed abiti di scena, mentre Laura osservava in silenzio la
rapidità del tratto e l’immediatezza del bozzetto.
“Sei
brava nel trasformare le idee in schizzi!” le disse ammirata mentre raccoglieva
con cura tutti i fogli pieni dei segni vergati da Silvia.
Poi
lei impersonò la parte della Nutrice con maggiore talento e naturalezza, mentre
Laura sosteneva quella della madre e di Giulietta, fino a quando stremate si
sedettero a guardare il sole che rosseggiava sull’acqua del lago.
Il
sudore che imperlava i loro corpi divenne presto sensazione di freddo, perché
erano ancora in aprile con la temperatura che si abbassava rapidamente al
calare del sole.
Silvia
avrebbe voluto dire che aveva freddo, ma ancora una volta non riuscì a
concretizzare le parole perché la personalità di Laura le impediva di esternare
le proprie sensazioni.
Per
tutta la giornata Laura non aveva pensato a Silvia, a sfiorarla con
delicatezza, a baciarla sulla pelle, ma ora di nuovo stava lottando con se
stessa tra due pensieri contrastanti: riportarla a Milano o invitarla a fermarsi.
Ancora una volta vinse la parte che la spronava a ricercare il contatto fisico
con la ragazza per assaporare quelle sensazioni primitive che aveva provato
diverse ore prima. Le aveva accantonate perché desiderava gustare con calma le
gioie della sessualità ritrovata. Una sessualità del tutto nuova e imprevista
era quella che aveva acceso la spia del piacere. Però per il momento era lei a
gustare le nuove sensazioni non consentendo egoisticamente alla ragazza di
ricambiare.
Dunque
Laura la prese accanto per scaldarla, per scatenare dentro una tempesta di
piacere, per risvegliare i sensi, che pensava fossero morti. Silvia reagì
assecondandola rimanendo passiva nei giochi erotici.
“Se
non hai impegni e se ti fa piacere, possiamo fermarci fino a lunedì. Così abbiamo
il tempo per provare altre scene, per stare insieme, per conoscere meglio le
nostre sensazioni. Cosa ne pensi?” le domandò in modo inaspettato e senza
preamboli.
Silvia,
colta di sorpresa e piacevolmente contenta, rimase in silenzio per alcuni secondi,
come se stesse riflettendo e poi rispose con entusiasmo: “Sì, mi sembra una
bella proposta! Il posto è incantevole ed è adatto a queste prove fuori dalle
righe. Poi mi sento ispirata. Hai visto quanti disegni ho fatto nelle pause?”
Però
soggiunse: “Ho un problema. Non ho biancheria intima di ricambio. Per i vestiti
mi bastano quelli che indosso. Non pensavo che ci saremo trattenute per alcuni
giorni, quando stamattina sono uscita di casa”.
Laura
guardò l’ora e stringendole le mani disse: “Non è un problema irresolubile.
Facciamo un salto in paese a comprare
qualcosa. C’è ancora tempo prima della chiusura della merceria. Lì troveremo
qualcosa di adatto per te. Poi ci fermiamo in trattoria per cena”.
Fatte
le spese e consumato un frugale pasto nell’unica trattoria, ritornarono alla
casa per comunicare che non sarebbero rientrate.
C’era
eccitazione in loro, come se fosse stata la prima volta che uscivano sole da
casa.
Laura
compose un laconico SMS a Mattia scrivendo “Stasera non torno. Forse nemmeno
nei prossimi giorni”.
Silvia
parlò con la madre, che contrariata le disse che al ritorno dovevano chiarirsi
perché non era d’accordo sulla vita che stava conducendo. Lei non disse nulla
in risposta, ma era visibilmente infuriata. Elisa non poteva intromettersi
nella sua vita privata dopo anni di assenza e di indifferenza.
Un bip
annunciò a Laura un SMS che perentorio diceva: “Domani a mezzogiorno io e Michi
ti aspettiamo a casa, perché dobbiamo parlare di noi. Mattia”.
Lei
impallidì e cancellò il messaggio stizzita.
Presto
fu buio nella casa, mentre loro si sistemavano nel grande letto a due piazze.
Capitolo 14
Mattia
stringeva la figlia senza dire nulla, mentre mille pensieri turbinavano nella
testa come una tempesta di neve. Ormai la situazione era arrivata al punto di
rottura e doveva prendere una decisione o salvare le apparenze del matrimonio
perdendo Michela o aiutare la figlia ad uscire dalle secche psicologiche nelle
quali stava sprofondando a poco a poco rompendo con Laura. Comprendeva che una
soluzione di compromesso era quanto mai arduo da raggiungere.
Michela
percepì il calore e l’affetto del padre e lasciò scorrere le lacrime, libere di
sgorgare dagli occhi come piccoli ruscelli d’acqua.
L’abbraccio
silenzioso durò a lungo e parlava molto di più di mille parole lasciate in
libertà.
Mattia
guardò la figlia tenendole entrambe le mani in silenzio e poi disse: “Vedo che
hai pianto. Raccontami cosa è successo”, pur intuendo il motivo delle lacrime.
Michela
con gli occhi ancora lucidi ed acquosi aprì la bocca, ma non uscì nulla, perché
un groppo stava in gola a bloccare le corde vocali. Poi lentamente riprese a
parlare con la voce impastata di tristezza.
“Oggi
ero a lezione e invece di osservare le diapositive sullo schermo ho rivisto la
prima volta che la mamma ha avuto un attacco in mia presenza. Da quel momento
sullo schermo ha cominciato a scorrere la mia vita, anzi la nostra vita“.
Michela iniziò così a ragionare con il padre.
Erano
passati molti anni da quell’episodio, ma lei sentiva che la madre stava
diventando giorno dopo giorno un’estranea, che faticava a riconoscere come se
lei non esistesse più.
“Perché
ha questo atteggiamento?” domandò per l’ennesima volta la ragazza, che non
comprendeva le ragioni del distacco.
Parlava,
come un fiume in piena, sotto un diluvio di lacrime senza che Mattia riuscisse
a calmarla. Poneva sempre le stesse domande senza ottenere le risposte che
voleva sentire al «perché sono un’estranea a mia madre».
Poi
esaurite le lacrime e con la voce ridotta ad un esile sussurro Michela cominciò
ad ascoltare le spiegazioni del padre.
“Quando
conobbi Laura, ho avuto quello che si dice un colpo di fulmine e non ho mai
smesso di amarla, nemmeno ora che non la riconosco più, perché vive in questa
casa solo il suo corpo, mentre anima e mente sono altrove”.
Mattia
provava dentro di sé un gran vuoto, ma non desiderava trasmetterlo a Michela,
perché intuiva che lei volesse spiegazioni confortanti e non nuovi dubbi sui
quali avrebbe macerata altra angoscia. Tentò di spiegarle che era andato troppo
di corsa all’inizio coinvolgendo Laura in un ruolo che lei non aveva compreso
per nulla, perché lui non le aveva dato il tempo di capirlo. La tensione, lo
stress di accudire a se stessa, a un marito, di governare una casa, di
completare il percorso universitario erano stati al di sopra delle sue
possibilità psichiche e fisiche senza che lui se ne accorgesse per troppo
tempo.
“Sono
rimasto cieco troppo a lungo e, quando mi sono accorto che lei era in affanno, ormai
era troppo tardi per rimediare. Così è entrata in depressione, avvitandosi su
se stessa”.
Fece
una breve pausa, come per raccogliere idee e fiato.
“Lei
non si sentiva pronta alla maternità, perché non era ancora riuscita a superare
la fase iniziale della condizione di donna sposata e faticava a gestire la vita
secondo i ritmi che io le avevo imposto. Però ho forzato ancora una volta la
mano e i tempi. Così sei nata tu, Michela. Questa è stata la goccia che ha
fatto traboccare il vaso”.
Mattia
proseguì il suo racconto confessione descrivendo come dopo la nascita della
figlia avesse avuto un brutto tracollo fisico e psicologico, rifiutando qualsiasi
contatto con lui, perché lo considerava come la causa di tutti i mali.
In
quel momento aveva compreso pienamente l’errore commesso senza avere la
possibilità di porre rimedio, perché a Laura era stata diagnosticata
un’agorafobia. A questo punto lui doveva scegliere o sostenerla per riportarla
in uno stato di apparente normalità oppure abbandonarla al suo destino fatto di
psicologi, farmaci e cliniche di lusso.
“Amavo
tua madre, come l’amo tutt’ora“ proseguì nel descrivere quei drammatici momenti
“Così ho scelto di aiutarla ad uscire dalla fase più acuta della malattia,
affinché ritrovasse l’equilibrio spezzato anche per colpa mia”.
Mattia
rifiatò un attimo, mentre Michela comprendeva il dramma del padre e quello
della madre, del quale aveva ignorato l’esistenza fino a questo momento.
Percepì dentro di sé un senso di vuoto, mentre rifletteva, se in tutti questi
anni egoisticamente non avesse messa la propria persona al centro del mondo
anziché a disposizione degli altri.
“Sono
riuscito ad evitare a Laura le visite umilianti da psicologi, l’assunzione di
ansiolitici, le cliniche di lusso usando solo l’amore che provavo per lei.
Lentamente ha superato la fase acuta della malattia, ritrovando un equilibrio
precario, dove bastava un nonnulla per metterla in crisi. Come ricordi anche il
parlare ad alta voce o un grido. Nel frattempo non ho mancato di occuparmi di
te, di non farti mancare l’affetto dei genitori, sia pure dimezzato, perché tu
potessi crescere serena e sicura. Però l’astio di tua madre verso di te non
sono mai riuscito a mitigarlo, se non in minima parte. Poi il lavoro a teatro,
lo stare fuori di casa senza dare giustificazioni, l’occuparsi solo della sua
persona hanno completato l’opera di raggiungere un equilibrio psichico
accettabile. Il prezzo da pagare è stato salato, come hai potuto constatare
sulla tua pelle, perché l’abbiamo persa in modo irrimediabile”.
Mattia
si fermò e guardò dritto negli occhi la figlia che ricambiò prima di gettarsi
al collo singhiozzando.
Ora
veniva la parte più difficile sulla strada da intraprendere da questo momento
in avanti. Aveva sempre sperato che Michela accettasse la parte di orfana di
madre, ma aveva calcolato male la sensibilità della ragazza e non poteva essere
altrimenti.
“Papà,“
disse Michela “io sono stata cieca a non capire che dietro quella cortina di
silenzio e di gelo si annidava la crisi esistenziale della mamma. Mi domandavo
solo ‘perché’ senza chiedere nulla, né interrogarmi sui motivi o le cause”.
“E’
inutile fare a gara nel dire chi ha sbagliato di più. Non serve a nulla, né
potrebbe sanare una situazione ormai troppo deteriorata. Pragmaticamente si
deve guardare avanti, pensare ad una scelta che cerchi di rimediare il
rimediabile. La mamma ha una malattia, dalla quale non è guarita e
difficilmente guarirà. Si deve trovare una soluzione che non riapra la ferita.
Stasera quando rientra ne parliamo a tre lasciando a lei la decisione se
desidera continuare a vivere con noi con maggiore armonia rispetto al passato
oppure preferisce il divorzio e ricrearsi una nuova vita fuori da queste mura.
Ora conosci tutti i dettagli e puoi esprimere la tua opinione”.
Michela
rispose annuendo, perché sapeva che la proposta del padre era l’unica strada
percorribile. Adesso era conscia che Mattia non avrebbe mai abbandonato né lei
né Laura, ma sarebbe stato prodigo di attenzioni ed affetto.
Rimasero
in silenzio, mentre la luce esterna si andava affievolendo.
Poi
arrivò un SMS di Laura e partì la risposta di Mattia.
Capitolo 15
Elisa
rientrata dal lungo giro per le cascine della Brianza chiamò Riccardo, che
rimase sorpreso per la telefonata dopo anni di silenzio quasi assordante.
Della
vecchia famiglia solo con Sofia aveva tenuto un rapporto quasi costante, perché
non si era mai interrotto il filo che li legava. Per telefono o di persona era
un modo per restare in contatto, per discutere e confrontarsi sui temi
personali, mentre la moglie e la figlia minore erano sparite dal suo mondo,
come se fossero diventate due estranee, come se non fossero mai esistite.
Silvia
dopo il diciottesimo anno non si era più fatta sentire né vedere. Era
semplicemente svanita nel nulla, inghiottita dal buio. Lei non aveva mai
accettato che se ne fosse andato via, perché si era sentita tradita negli
affetti. Non glielo aveva mai detto, ma l’aveva compreso con chiarezza dagli
atteggiamenti.
Elisa
dopo l’udienza che sanciva il divorzio non si era fatta più viva, né lui aveva
provato a contattarla, perché la frattura era stata talmente dolorosa e
insanabile che il solo pronunciarne il nome equivaleva alla riapertura della
vecchia ferita. Di questo distacco brusco e inconciliabile all’inizio aveva
tentato di comprenderlo, di trovarne le motivazioni ma poi aveva percepito che
era fatica inutile, relegandole in un angolo buio dei ricordi.
La
telefonata in arrivo l’aveva pertanto sconcertato, perché era giunta in maniera
improvvisa e inusuale. Si domandò cosa l’avesse spinta ma non aveva alcuna idea
al riguardo. Era conscio che non era una semplice chiamata di cortesia, ma
celava un argomento sul quale dovevano discutere.
«Cosa?»
si chiese sentendo la voce di Elisa. Sul rapporto con lei non c’era più nulla
da chiarire: il divorzio era stato talmente traumatico che ritornare a parlarne
sarebbe stato un riaprire una vecchia ferita. Le figlie erano ormai donne con
una vita autonoma, senza che lui potesse interferire sulle loro scelte. Non ne comprendeva
il senso.
“Cosa
avrà da dire e di così urgente da telefonarmi a quest’ora della sera?” si
chiese nuovamente mentre aspettava con pazienza che fosse Elisa a spiegarlo.
Lei si
sforzò di essere conciliante tenendo un tono deciso e sbrigativo e al tempo
stesso disteso. Senza troppi preamboli descrisse l’argomento della telefonata:
le figlie e la loro vita di relazione.
Riccardo
era sempre più stupito, perché, dopo anni di disinteresse, adesso Elisa
sembrava seriamente preoccupata dei loro comportamenti. Gli sembrava una
tempesta in un bicchiere d’acqua e per di più innocua. Però si fece forza nel
rispondere in maniera pacata e garbata, calmando quel senso di irritazione che
l’aveva colto immediatamente.
“Sono
adulte” replicò lui usando un tono di basso profilo. “Come possiamo interferire
nella loro vita privata? Quello che possiamo fare è tentare di chiedere loro
piccole correzioni allo stile di vita, ammesso che ci ascoltino”.
Elisa
non era d’accordo. “No,no! Saranno anche adulte, ma finché vivono con me sento
l’obbligo di conoscere come si svolge la loro vita, chi frequentano. Tu, come padre, non puoi sottrarti ai tuoi doveri di
correggere gli atteggiamenti sregolati nelle relazioni. Devi intervenire! Per
nostri contrasti, sui quali non intendo tornarci, non le abbiamo seguite come
si doveva e le abbiamo lasciate libere di vivere senza controlli e senza freni.
Ora si impone una riflessione, prima di pentirci per non averlo fatto a tempo
debito”.
Proseguì
accalorata, dicendo che era loro preciso impegno discutere con loro su come
agivano nella vita quotidiana. Gli strappò alla fine una vaga promessa che le
avrebbe contattate nei prossimi giorni per poi riparlarne tutti insieme.
Al
termine della lunga telefonata, che le era costata grandi sforzi di
concentrazione e di autocontrollo, Elisa si accasciò sul divano consapevole che
molti dei guasti erano colpa sua. Si ripromise che da questo momento avrebbe
cercato un maggiore dialogo con loro per capire i problemi e trovarne le soluzioni
giuste.
Riccardo,
messo giù il telefono, scosse la testa, perché era sicuro delle risposte che
avrebbe ricevuto. Certamente gli avrebbero detto che i rapporti amorosi non
erano questioni che lo riguardassero, che loro erano adulte e che sapevano come
comportarsi.
“Cosa
posso opporre a queste obiezioni? Quali armi possiedo per far capire loro le
ragioni di loro madre? Per me come gestiscono il loro corpo è un problema loro
salvo che ..”.
Però
si domandò quali erano i punti sui quali intervenire e costringerle ad
ascoltare. Scosse il capo perché non ne trovava. Un suo intervento avrebbe
avuto il solo significato: di impicciarsi nelle relazioni interpersonali. Si
domandava ancora, perché solo in questo momento Elisa si preoccupava se Sofia
passava da un ragazzo all’altro come cambiarsi d’abito due volte al giorno o se
Silvia si era infatuata di una regista teatrale, che poteva essere sua madre.
Quale potere, ammesso che ne avesse ancora, lo autorizzava a intromettersi nei
loro atteggiamenti sessuali, perché alla fine tutto sommato non davano scandalo
secondo il suo punto di vista.
“Certo,
ho parlato più volte con Sofia della sua superficialità nei rapporti coi
ragazzi,” rifletté Riccardo sorseggiando un bicchiere di rum. “Ma lei mi ha
sempre detto che dopo tre volte che esce con un uomo gli viene a noia e lo
pianta. Ora è una donna di ventisei anni, non una ragazzina acerba ed immatura.
Proverò a discutere ancora su questo aspetto, ma non credo che mi ascolterà più
di tre secondi. Mi manderà tranquillamente a quel paese”.
Più
arduo e complicato appariva il compito con Silvia con la quale da tempo aveva
interrotto ogni rapporto.
“Non la
sento, né la vedo da oltre quattro anni. Non conosco un particolare di come abbia vissuto in
questo periodo. A dire il vero anche nei cinque precedenti il nostro dialogo
verteva più sul tempo che sulla scuola, sui ragazzi, sulle aspirazioni, sugli
obiettivi. Insomma era un contenitore vuoto, privo di qualsiasi approfondimento”.
Si
domandava come sarebbe riuscito ad avviare un discorso concreto su questo tema
se non ci era riuscito in precedenza. “Con lei, chiusa e introversa, il dialogo
si è bloccato da troppo tempo e difficilmente si sarebbe riavviato nel senso
auspicato da Elisa”.
Dubitava
molto anche solo a mettersi semplicemente in contatto. “Ci proverò anche se i
risultati saranno sicuramente deludenti”.
Riccardo
distese le gambe, mentre continuava a gustare lentamente il liquore. Adesso
aveva la testa piena di pensieri che non riusciva a disfarsene.
Questa
telefonata non ci voleva.
Capitolo
16
Laura
trascorse la notte inquieta diversamente da come l’aveva progettata e
immaginata. La risposta di Mattia perentoria e diretta la faceva riflettere.
Erano anni che tra loro si era stabilita una tregua non scritta ma tacita. Lei
avrebbe gestito la sua vita secondo ritmi e attività dettate solo da se stessa senza
interferenze di nessuno e senza dovere fornire troppe spiegazioni. Però ieri
sera questo patto s’era incrinato in maniera inaspettata e perentoria.
Aveva
partecipato subito dopo la nascita di Michela ad un corso di teatro come
costumista e regista per superare il trauma che l’evento le aveva procurato.
Era stato il medico a suggerirlo per recuperare un minimo di equilibrio
psico-fisico e non sprofondare nella depressione.
L’esito
era stato talmente soddisfacente che si era trasformato in professione tra magre
soddisfazioni e cocenti delusioni. Però lo stare fuori casa in mezzo alla gente
aveva avuto risvolti positivi sul suo stato di salute. In lei si era accesa la
passione per il teatro, le piaceva insegnare i ruoli ai protagonisti, allestire
le scene e scegliere . Per lei dirigere la compagnia teatrale era un aspetto
talmente impagabile che anche le delusioni più cocenti scivolavano via come
l’acqua sulla pelle. Mattia aveva accettato questa scelta, incoraggiandola
perché aveva notato un notevole miglioramento nelle sue condizioni.
Avevano
concordato tacitamente che non aveva importanza, se lei stava fuori tutta la
giornata o la notte o anche di più. Però lui aveva preteso esplicitamente di
essere avvertito. “Non desidero rimanere in apprensione fino al tuo rientro a
casa” le aveva detto chiaramente.
Era
sicuro che questi comportamenti e le assenze anche prolungate non nascondevano
scappatelle o avventure occasionali. Su questo punto lei non aveva mai avuto dubbi
al riguardo. “Non esiterei un attimo a chiedere il divorzio se incontro una
persona che in qualche modo risvegli i miei sensi sopiti” si era sempre detta e
non percepiva la necessità di esplicitarlo con chiarezza. E prima dell’incontro
con Silvia non era mai accaduto.
Era
consapevole che questi atteggiamenti creavano a Mattia non pochi grattacapi a
causa di Michela. Però lui aveva finto di essere contento, perché aveva
compreso essere la terapia migliore per superare la malattia. Era conscia che
lui non aveva perso le speranze che prima o poi si sarebbe riavvicinata a loro.
Però il tempo passava e la frattura diventava sempre più insanabile. Anche
questa era una certezza, perché non desiderava ricomporre la rottura.
Laura,
riflettendo dopo l’arrivo del SMS, percepiva che la situazione si stava deteriorando
e precipitava verso la logica conclusione che avrebbe visto la loro separazione
definitiva. Però non aveva trovato in precedenza il coraggio di affrontarla,
rimandando sempre il chiarimento, anche se era sempre più difficile mascherare
con amici e conoscenti il distacco palese dal marito e dalla figlia. Lo
scollamento nelle relazioni familiari era talmente percettibile e netto che era
a conoscenza che più di uno scommetteva per quanto tempo la loro unione avrebbe
resistito.
Il
messaggio perentorio di Mattia l’aveva messa di pessimo umore e non poteva
essere altrimenti. Aveva altri progetti e aveva percepito un risveglio della
sua essenza di donna ma adesso era tornata fredda e insensibile.
Laura
era combattuta ancora una volta da due visioni: una che le suggeriva di
ribellarsi e non andare all’appuntamento, l’altra di tornare a casa per il
chiarimento definitivo, perché era sottinteso che l’argomento sarebbe stata la
sua persona e il futuro di tutti.
In
maniera similare Silvia non era riuscita ad entrare in sintonia con gli umori
della casa. Le attenzioni di Laura le avevano procurato piacere ma lei si era
sentita solo un oggetto inerte e passivo. Non era riuscita a dare ma solo
ricevere. Questo le aveva procurato un senso di sofferenza. Poi era arrivato un
messaggio e il clima era virato al brutto. La tensione era palpabile con
nettezza come l’umore di Laura era diventato scontroso. Non aveva provato ad
accennare a un tentativo di ricucire la tela strappata, perché in quegli
istanti la percepiva distante ed assente. Ormai era lì e doveva rimanerci.
Ad
aggravare la situazione aveva contribuito la telefonata con la madre che l’aveva
irritata. Sapeva che il motivo era il rapporto con Laura e che non sarebbe
riuscita a convincerla che sarebbe decollato. Per anni la madre non le aveva
parlato né aveva richiesto il parere sul suo futuro, sugli amori, sulle
frequentazioni. Era dunque in ultima analisi un’estranea. Però adesso aveva
deciso di cambiare passo e di chiederle conto delle sue inclinazioni sessuali.
Questo l’infastidiva terribilmente.
La
mattina colse Silvia e Laura immerse nelle loro riflessioni, che in qualche
modo si intrecciavano tra loro, ma senza che ne discutessero per trovare i
punti in comune o per confrontarsi con le opinioni.
“Buongiorno,
Silvia” disse Laura, quando percepì che la ragazza stava uscendo dal sonno
agitato della notte. Però non aggiunse altro. Il loro rapporto prima di
addormentarsi era stato frettoloso e freddo, come se avessero voluto ragionare
solo su se stesse e non per compiacere l’altra. Era stato un vero fallimento
rispetto alle aspettative immaginate. E aveva lasciato il segno sul loro umore.
“Ciao,
Laura” rispose Silvia un po’ imbronciata e desiderosa di stare in silenzio.
“Avevo
fatto altri programmi per oggi e domani, ma devo tornare a casa con una certa
sollecitudine. Mi dispiace” aggiunse visibilmente contrariata.
“Forse
è meglio così” replicò acida e scura in volto trattenendo a stento un
nervosismo che sprizzava da tutti i pori tanto era percettibile.
Le
telefonate della sera precedente avevano lasciato l’impronta, mentre entrambe
non aspettavano altro: ritornare in città e salutarsi senza troppi complimenti.
Forse sarebbe stato un addio, forse sarebbe stato la fine di qualcosa che non
era nemmeno iniziato. Di sicuro non era stata un’esperienza da ricordare.
La
giornata di ieri sembrava promettere bene con Laura desiderosa di scoprire una
sessualità insolita e sconosciuta per lei, mentre Silvia smaniava nel sentire
le mani della compagna posarsi sulla pelle e poter ricambiare le attenzioni.
Però oggi c’era gelo tra loro, ognuna immersa nei pensieri che custodivano con
cura dentro di sé senza rendere partecipe l’altra dei motivi di tanto
nervosismo.
E
rimasero in silenzio fino alla partenza.
Capitolo 17
Erano
le undici quando Laura rientrò nella casa vuota.
“Meglio
così” pensò mentre riponeva la borsa nell’armadio “Mi faccio una doccia e poi
aspetto il loro rientro. Non credo che ci sia molto da dire. La soluzione è ..”.
Lei
percepiva disagio e imbarazzo, perché dentro di sé covava quel conflitto duale
tra il ribellarsi andando via e restare lì a discutere con loro.
“Andare
dove?” diceva tra sé e sé. “Fuggire per non accettare il confronto? E perché?”.
Comprendeva che sarebbe stata una strategia perdente, una resa senza
combattere, un ammettere di avere torto. Il processo era per lei e i giudici
erano di parte. Conosceva in anticipo il verdetto. Questo lo sapeva ma voleva
lottare o quanto meno difendersi. Però non era ancora pronta psicologicamente
ad affrontare il contraddittorio perché avrebbe dovuto affrontare argomenti che
la vedevano sicuramente in fallo. Percepiva che si sarebbe trovata in posizione
di relativa debolezza, perché l’iniziativa non era nelle sue mani. Erano gli
altri che avevano la mossa di vantaggio e lei avrebbe dovuto rincorrerli.
Aveva
riflettuto sugli atteggiamenti verso la figlia e il marito ed aveva convenuto
che loro erano stati pazienti, accettando anche quello che non era accettabile.
“Quali
argomentazioni potrei portare avanti per giustificare certi comportamenti?”
continuava a dire a se stessa, ben sapendo che non ne aveva.
Formalmente
aveva mostrato all’esterno di essere una madre premurosa e una moglie sincera,
ma la realtà non era così. Era diversa: si sentiva estranea al loro modo di
agire e vivere. “Sì, un corpo estraneo in questa casa” disse ad alta voce per
rinfrancarsi.
Adesso
le presentavano il conto. Era venuto il momento di mettere le carte in tavola e
discutere di loro, di lei, del futuro senza nascondersi o fuggire alle proprie
responsabilità. Questo non le piaceva, perché era costretta sulla difensiva.
Silvia
rientrò a casa per niente contenta e visibilmente infastidita dall’intrusione
della madre nella sua vita privata. Era un’entrata a gamba tesa per farle male.
E questo non le garbava affatto.
Per
anni Elisa si era sottratta ai doveri di madre e di guida, l’aveva lasciata
abbandonata a se stessa. Mai una parola, mai un consiglio era uscito dalla
bocca. Adesso voleva mettersi a discutere se il rapporto con Laura era corretto
o meno.
Cosa
ne sapeva Elisa delle sue inclinazioni, dell’attrazione verso il mondo
femminile, quando era stata rintanata per anni, solitaria e silenziosa, nella
dependance a scaricare fotografie, a lavorare al computer, ad ascoltare musica
classica.
Al
senso di irritazione nei confronti della madre si aggiungeva quanto era
successo con Laura. Un’esperienza inizialmente piacevole ma terminata in
maniera sgradevole. Scacciò quest’ultimo pensiero e si concentrò nuovamente
sulla madre.
Silvia
la vedeva, ma non sempre, a pranzo e cena per puro spirito di presenza, assente
dai loro discorsi, finché lei e la sorella stanche di avere un commensale muto,
il classico convitato di pietra, avevano deciso di farne a meno. Avevano
imparato a gestire i pranzi senza l’aiuto di Elisa, che poco alla volta aveva
smesso di presenziare.
Cosa
facesse, chi frequentasse, dove andasse non l’aveva minimamente interessata
fino alla sera precedente, ora voleva parlarle, discutere, gestire le sue
relazioni, dare consigli, creare barriere e divieti, mettere dei filtri.
“Con
quale diritto si arroga di governare la mia vita? I miei genitori, come tali
sono morti dieci anni fa. Adesso come fantasmi si presentano e accampano
diritti, quando i doveri non sono mai stati assolti. Io sono loro prigioniera e
vivo da reclusa in questa casa”.
Il
problema consisteva nel fatto che non era economicamente indipendente come la
sorella, ma dipendeva dall’assegno che il padre versava mensilmente per lei
alla madre. Dopo la maturità aveva smesso in pratica di studiare, anche se si
era iscritta all’università per diventare una grafica senza dare nessun esame e
non ne avrebbe dato sicuramente nessuno. Così aveva deciso di chiudere e di non
sprecare altro denaro a partire dal prossimo autunno.
«Trovare
un’occupazione senza l’aiuto di mio padre o di mia madre è nella sostanza
impossibile salvo accontentarsi di lavoretti di scarso interesse ed
economicamente incerti. La maturità scientifica con indirizzo artistico non mi
offre nessuna possibilità di trovare qualcosa di adatto alle mie capacità. Dovrei
chiedere il loro aiuto ma sarebbe una capitolazione con infamia e
un’umiliazione che non voglio provare. Loro sono riusciti solo ad abbandonarmi
al mio destino. Mi trovo dunque in un vicolo cieco, dal quale uscire non è per
niente facile con le mie sole forze». Erano questi i pensieri di Silvia mentre
si aggirava per la casa.
Stava
frequentando il secondo anno di un corso di recitazione teatrale con discreto
successo e sperava di trovare nel teatro lo sbocco economico che aveva cercato
in questi anni. Però la strada era lunga senza nessuna certezza che poi avrebbe
raggiunto l’obiettivo di rendersi indipendente.
Quindi
per il momento doveva abbozzare, doveva restare in una casa che odiava, insieme
alla sorella e alla madre, che non sopportava più. Però appena le fosse stato
possibile se ne sarebbe andata via senza nessun rimpianto. Forse l’occasione si
era presentata sotto forma della relazione con Laura, ma sembrava che anche
questa opportunità fosse sfumata o quanto meno proiettata in un futuro incerto
e nebuloso.
La
casa era vuota, perché la sorella era in un qualche posto lontano col nuovo
ragazzo e la madre in giro per lavoro.
“Non
capisco perché si vuole intromettere nella mia vita“ rifletteva non
propriamente in silenzio “quando Sofia cambia ragazzo tre volte al giorno.
Perché non le chiede ragione di questo comportamento anziché rompere le scatole
a me?”
Buttata
la borsa con gli indumenti, acquistati il giorno precedente, sul letto, andò
alla ricerca della madre, che come immaginava non c’era.
“Uffa!”
imprecò nervosa ed irata perché era dovuta tornare a casa, quando aveva avuto
ben altri obiettivi da soddisfare.
Ciondolò
un po’ tra le varie stanze, poi decise che non valeva la pena di restare lì ed
uscì.
“Tanto
quando torno, la troverò di sicuro” disse chiudendo alle spalle la porta.
Capitolo 18
Mattia
e Michela rientrarono praticamente insieme attorno alle dodici e trenta con
poche speranze di trovare Laura. Dubitavano che volesse discutere con loro.
Però si accorsero che si erano sbagliati.
La
videro seduta composta e distaccata sul divano senza che si degnasse di un
saluto. L’umore non era cordiale e la discussione non prometteva nulla di
buono.
“Ciao”
disse Mattia baciandola con affetto sulla guancia, mentre otteneva solo una specie
di grugnito come risposta.
“Credo
che sia giunto il momento di parlarci tutti e tre insieme e decidere quale
futuro vogliamo riservarci” proseguì puntando in maniera diretta al punto
focale dell’incontro. Era inutile girare intorno al problema da affrontare. Non
sarebbe servito a nulla.
“Ciao,
mamma” aggiunse Michela abbracciandola.
Laura
rimase in silenzio accettando passivamente sia il bacio sia l’abbraccio. Anzi
la ribellione che covava dentro di sé montava come l’albume nel frullatore. Si
impose di stare calma, respirando profondamente e senza fretta. Non desiderava
cadere nel tranello dello scontro, ma l’irritazione le stava giocando un brutto
scherzo.
“Oggi”
pronunciò scandendo con cura le parole “Oggi, avevo altri impegni ed altri
obiettivi, ma siete riusciti a sconvolgere la mia giornata. Ora dite quello che
avete da dire e finiamo in fretta questa commedia”.
Mattia
raccolse tutte le sue forze per non rispondere con acrimonia alla battuta
infelice di Laura, perché se la sarebbe meritata. Però non voleva finire in
rissa, perché non avrebbe avuto la lucidità di esporre i suoi pensieri.
Contò
mentalmente fino a dieci, mentre calmava il respiro ed i battiti del cuore.
Michela
si girò perché non riusciva a trattenere le lacrime, che premevano intensamente
per scendere sulle guance.
Lui
inspirò profondamente e cominciò a parlare con calma, soppesando con cura i
pensieri e modulando la voce per coprire l’irritazione crescente dentro di sé.
“Michela
ha ormai ventidue anni ed è una donna oltre essere nostra figlia. Quindi è
giusto che ascolti quello che i suoi genitori si devono dire. Non credo che ci
siano obiezioni da parte tua”.
Mattia
si fermò un attimo per rifiatare e chiamare a raccolta tutte le idee, perché
non aveva preparato nulla e sarebbe andato a braccio come al solito.
La
guardò con attenzione perché si era accorto che era un’altra persona quella che
stava rigida ed impalata sul divano. “Non è Laura che conosco” pensò dentro di
sé “E’ un’estranea”.
Tacque
per qualche secondo, mentre stringeva Michela fra le braccia. Sperava sempre
che Laura dicesse qualcosa, ma stava zitta ed assente come se quello che
avevano da esprimere non la riguardasse.
“Visto
che non ami far udire la tua voce, “ disse calmo Mattia “allora parlerò io e
Michela se vorrà…” e stava per cominciare, quando la voce un po’ stridula di
Laura interruppe il discorso.
“Cosa
volete da me?” sparò parlando con acidità “Cosa avete da dire?” e poi stette
zitta.
Lui
non accettò la sfida e proseguì come se Laura non l’avesse interrotto.
Elisa
tornò nelle prime ore del pomeriggio accorgendosi subito che Silvia era
rientrata e poi era uscita di nuovo.
Sospirò,
perché sperava di vederla lì in attesa pronta a discutere con lei.
“Peccato”
si disse respirando profondamente e rumorosamente “Ora tocca a me restare in
attesa a tormentarmi con dubbi ed incertezze”.
Rimase
seduta in silenzio mentre la penombra avanzava nella casa finché non senti un
calpestio nell’ingresso.
Non
diede il benvenuto a Silvia, mentre pensava a cosa dire. Tutti i pensieri erano
svaniti, persi nel buio della casa ed ora non c’era tempo per raccoglierli e
rimetterli in sesto. L’attesa l’aveva svuotata dell’energia che faticosamente
aveva raccolto dentro di sé.
“Ne
troverò degli altri” disse con se stessa per trovare il coraggio di affrontare
la figlia “Ora non penso a niente, poi le parole fluiranno da sole e i pensieri
si formeranno come d’incanto”.
Silvia
era ancora infuriata e non si accorse della presenza della madre.
Si
agirò per la casa come se fosse ancora sola. Andò nella sua stanza, poi in
cucina alla ricerca di qualcosa da mangiare. La voglia di incontrare Elisa e di
discutere con lei l’aveva lasciato fuori dall’uscio, mentre in compenso le era
venuto appetito.
Quando
finalmente vide la madre nella stanza buia, seduta compostamente in silenzio,
rimase un primo istante sorpresa e poi ricordò il motivo che l’aveva condotta a
rientrare in città.
“Ciao”
disse con tono neutro “Cosa fai al buio? Perché non mi hai salutato quando sono
entrata?” e accese le luci della sala aspettando le risposte alle domande.
“Ciao”
fu l’unica replica laconica di Elisa, che rimaneva seduta senza proferire alcun
suono.
Silvia,
spazientita da tanto silenzio, si fermò irritata e nervosa di fronte a lei e
proseguì: “Hai detto che intendevi parlarmi. L’argomento qual è? Non riesco ad
immaginarlo visto che sono anni che ti rifiuti di dialogare con me e Sofia”.
Poi
tacque aspettando che Elisa facesse uscire qualche suono dalla bocca, anche se
aveva molti dubbi che avrebbe avuto il coraggio di farle una predica su come
conduceva la sua esistenza.
Ricordava
con asprezza che stava a tavola con loro senza pronunciare una qualsiasi parola
o dare segno di ascoltare le loro chiacchiere. Sembrava assente ed in trance
rapita ed assorta in mille altri pensieri. Poi spariva come un fantasma fino
alla prossima apparizione.
Continuava
ad interrogarsi sui motivi che l’avevano indotta a richiederle di tornare con
urgenza a casa. A volte le era sembrato che la madre avesse perso l’uso della
parola, mentre adesso l’aveva riacquistato come per miracolo.
Elisa
stava raccogliendo i pensieri disseminati per la testa per ricomporre le frasi
e il tono di voce da usare tra pochi secondi.
Pazientò
ancora un attimo e poi avrebbe cominciato a parlare.
“Silvia”
esordì.
Come
esordio non era proprio nulla di originale, ma doveva trovare la forza di
incominciare un discorso.
Capitolo 19
La
discussione durò a lungo con molta civiltà senza mai che si alzassero i toni
della voce. Ognuno espose con calma i propri punti di vista rispondendo alle
domande e ponendone a sua volta.
Da un
lato Mattia cercava di esplorare i motivi del naufragio dell’unione con Laura,
di rincalzo Michela con molto affanno e ansia aspirava a conoscere il perché la
madre era stata assente dalla sua vita, mentre Laura con lucidità e decisione
si difendeva ed attaccava le posizioni di Mattia.
Nessuno
cedeva di un millimetro dalle proprie opinioni: era un bellissimo dialogo fra
sordi pur avendo analizzato a fondo ogni aspetto della loro vita in comune.
Mattia
non voleva giungere alla rottura e tentava di mediare, di trovare un
compromesso per salvare venticinque anni di matrimonio, ma col passare delle
ore si rendeva conto che la salita da percorrere era più ardua del previsto e
che alla fine avrebbe dovuto arrendersi alle evidenze dei fatti ben chiari fin
dall’inizio. Lui aveva sperato invano che Laura accettasse di rimanere con
loro.
Michela
si sentiva come un topo in trappola, ovunque si girasse trovava solide sbarre
ad impedire il raggiungimento dell’obiettivo di conoscere le motivazioni del
comportamento della madre nei suoi confronti. Le voleva bene nonostante la
freddezza dimostrata finora, ma comprendeva che non sarebbe riuscita a
smuoverla dall’atteggiamento di negazione che aveva tenuto per oltre venti
anni.
Laura
percepiva che Mattia e Michela le dimostravano un affetto sincero e profondo,
che lei non era in grado di ricambiare o che non desiderava mutare le proprie
intime convinzioni. Voleva riacquistare la libertà, ma aveva il timore di raggiungerla
esattamente come un viandante aveva paura ad avventurarsi su un viottolo
sconosciuto. Aspirava a tutto e al contrario di tutto. Era dilaniata da una
perpetua contraddizione tra essere libera di agire ed essere all’interno di una
famiglia che la sorreggesse nei momenti di difficoltà. Aveva raggiunto un
pericoloso punto d’equilibrio instabile, dove era sufficiente un alito di vento
per precipitare nel vuoto di un burrone profondo ed oscuro. Fino a qualche ora
prima era ben determinata a concludere lo strappo col passato per iniziare una
nuova fase della vita, ma ora era incerta ed indecisa, doveva riflettere.
“Mattia”
pensava mentre ascoltava per l’ennesima volta Michela che la supplicava di
spiegare i motivi dell’indifferenza “mi darà ventiquattro ore di tempo per
prendere una decisione?”
Si
domandava da dove nascevano tutti questi dubbi e perplessità. Forse era il tono
calmo di Mattia che cercava di spiegarle gli errori di entrambi per sperare che
la loro vita di relazione continuasse. Forse era il tono accorato di Michela
che aspirava a percepire un afflato di amore mai assaporato finora. Forse era
il turbamento che le aveva provocato Silvia con l’insistenza a cercarla. O
forse la causa era lei stessa che era consapevole degli errori commessi e mai
ammessi. Troppi se, troppi forse si agitavano dentro di lei senza che ciascuna
delle motivazioni facesse pendere la bilancia da qualche parte. E questo le
procurava stress.
Michela
aveva cominciato a piangere sommessamente fra le braccia del padre, che con
dolcezza le accarezzava i capelli arruffandoli leggermente come era stato
solito fare all’inizio con la moglie.
“Laura,”
cominciò con tono calmo ma duro e deciso “siamo qui a discutere da diverse ore
senza giungere alla definizione del nulla. Nessuno di noi ha accettato di
arretrare dalle proprie posizioni ed io sono il primo ad ammetterlo. Vorrei che
il nostro rapporto fosse meno conflittuale e più aperto, ma in particolare
vorrei che Michela percepisse il nostro affetto come tutte le ragazze della sua
età. Non so se chiedo molto o poco, ma questo era quello che avrei voluto
ottenere al termine di questa discussione franca ed aperta. Però ho compreso
una cosa, che tu desideri la tua libertà senza i vincoli del matrimonio e
dell’accudire una figlia. Quindi se è questo il tuo obiettivo, dillo
apertamente e domani mattina darò l’incarico a Mario di avviare le pratiche per
il divorzio”.
Di
colpo nella sala scese un silenzio rotto solo dai respiri dei presenti.
Nessuno
fiatava, tutti erano in attesa. Laura con il tumulto interiore ancora più
intenso percepiva che doveva dare una risposta ad un quesito così diretto, ma
lei voleva prendere tempo per riflettere e disse: “Hai ragione, Mattia. Devo
prendere una decisione se restare in questa casa non più come ospite, ma
partecipante attiva alla sua vita. Poche ore fa avevo le idee chiare, ora sono
confusa su qualsiasi scelta da effettuare. Dammi tempo. Domani alle nove avrai
la mia risposta”.
“E
così sia” replicò Mattia concludendo il lungo incontro.
Laura
andò nella sua stanza, dove prese qualche indumento, un paio di libri e diversi
CD di musica classica, e uscendo aggiunse: “Mi ritiro in riva al lago a
meditare in silenzio. Domani conoscerai le mie decisioni”.
Michela
che era rimasta muta e frastornata, quando udì l’uscio di casa richiudersi alle
spalle della madre, si precipitò tra le braccia del padre, affermando che non
voleva che loro si separassero.
Mattia
la guardò in viso e disse: “Non vedo altre alternative”.
Lui
aveva adesso chiaro il quadro della situazione, mentre doveva pensare al dopo.
Non si faceva illusioni sul tipo di risposta che avrebbe ricevuto perché era
improbabile che Laura cambiasse atteggiamento nei confronti di Michela, la
figlia non voluta. Non aveva affrontato finora l’argomento separazione per non
compromettere l’equilibrio tanto faticosamente trovato per la figlia, ma ora
non era più possibile rimandare.
“Michela,“
disse il padre guardandola negli occhi “non era possibile prolungare questa
agonia. O la mamma cambia atteggiamento o se ne deve andare da questa casa. Io
le voglio bene ora ed anche dopo, ma sta producendo su di te troppi guasti per
non intervenire con decisione. Aspettiamo con pazienza domani”.
Padre
e figlia rimasero a chiacchierare ancora su di loro, sugli effetti che la separazione
avrebbe comportato, sui commenti degli amici e conoscenti.
Poi
uscirono per andare a cenare nella trattoria vicino a casa per sentire meno il
vuoto dentro di loro.
Capitolo 20
“Silvia,“
cominciò la madre tra titubanze e tentennamenti “capisco che ormai sei una
donna ed io non sono stata in questi anni quello che si dice una madre priva di
pecche. Però non posso fare a meno di disapprovare il rapporto che hai con
l’insegnante di recitazione, quella regista ormai matura con cui ti vedi e ti senti”.
Si
fermò osservando attentamente la figlia in piedi dinnanzi a lei senza
distogliere lo sguardo.
Silvia
diventò rossa per l’ira che stava montando e aprì la bocca per urlarle in
faccia tutto il malumore che aveva covato in questi anni, ma non uscì alcun
suono.
Sembrava
incapace di parlare, di connettere i molti pensieri che frullavano liberi nella
mente, un’improvvisa afasia le impediva di pronunciare qualsiasi lettera.
“Siediti
e calmati” proseguì la madre, mentre le faceva posto sul divano.
Elisa
parlò con pacatezza a tono basso mentre Silvia calmava a poco a poco il tumulto
interno che le aveva impedito di proferire parola.
Discussero
a lungo del rapporto con Laura, degli errori che Elisa aveva commesso con le
figlie, dei rapporti tesi con Riccardo attraverso un confronto serrato ed aspro
allo stesso tempo.
Silvia
difese con ostinazione la scelta di evitare gli uomini, perché percepiva che
erano le donne che occupavano la sua mente. E questo l’aveva scoperto a poco a
poco dopo l’abbandono del padre. Continuava a non comprendere perché la madre
non voleva accettare la scelta di escludere gli uomini dai suoi pensieri.
Silvia
era confusa nell’esposizione e nei pensieri che nascevano all’interno, non
riusciva a svolgere logicamente le idee, che si ammassavano caoticamente come
uno stormo di uccelli impauriti dagli spari dei cacciatori.
Elisa
senza fretta e con pacatezza smontava le teorie, le argomentazioni, i pensieri,
perché le affermazioni erano prive di solidità, sconnesse e piene di luoghi
comuni.
Avrebbe
avuto vita facile a convincerla nel lungo termine, se Silvia avesse proseguito
sulla strada intrapresa, e aspettava sorniona.
Non
aveva fatto però i conti con la tenacia e l’ostinazione della figlia, che
riusciva a rendere razionali i propri pensieri tramite le risposte di Elisa,
come quei software che affinano i propri modelli attraverso le tecniche di
intelligenza artificiale.
Silvia
si sentiva rinfrancata e sempre più lucida nei pensieri, mentre riannodava i
fili della mente.
“Mamma,“
disse ergendosi davanti a lei “siamo qui da diverso tempo e nessuna delle due è
riuscita a convincere l’altra. Non capisco perché dopo anni di silenzio e di
disinteresse ora vuoi convincermi che il mio rapporto con Laura è sbagliato.
Inoltre hai coinvolto inutilmente anche Riccardo, che non vedo e non sento da
oltre quattro anni e con il quale non intendo riallacciare nessun rapporto.
Ormai sono una donna e la mia sessualità la decido io”.
Poi si
allontanò senza salutare per rinchiudersi nella sua stanza. Per sbollire l’ira
della lunga discussione mise le cuffiette dell’IPOD per ascoltare i Coldplay.
Mentre la musica invadeva col suono martellante la sua mente, lei si sentiva
come un uccello prigioniero che poteva osservare il mondo solo tramite la vista
offerta dalla gabbia.
Elisa
rimase per un po’ seduta percependo che era fallita prima come moglie poi come
madre. Il suo rapportarsi con le altre persone era quello di porsi al centro
dell’attenzione mentre faceva affidamento su un potere che forse era solo nella
sua immaginazione.
Pensava
di diventare archeologa e girare il mondo, ma era diventata schedatrice di
ruderi, reperti fatiscenti e qualche crosta sfuggita alle ruberie. Un momento
di scoramento l’assalì, mentre stava pagando il prezzo della tensione
accumulata in tutti questi anni. Era svuotata di tutto, dai pensieri alle forze,
e pensava al ruolo a cui era stata condannata senza che lei potesse opporsi.
Si
alzò lentamente con gli occhi pieni di tristezza per andare, ma non lo sapeva
nemmeno lei.
Aprì
la porta e sparì.
Silvia
aspettava la madre nella stanza per dire qualcosa, udì la porta chiudersi e poi
il silenzio che calava nella casa.
Tolse
le cuffiette ed andò nella sala, dove trovò appoggiato sul divano il telefono
di Elisa che pulsava per una chiamata in arrivo e un paio di SMS in attesa di
essere letti. Corse alla dependance nella speranza vana di trovarla immersa nei
suoi pensieri, ma anche lì regnava buio e silenzio.
Si
accasciò disperata mentre le lacrime bagnavano il suo viso.
Ora
sapeva che non l’avrebbe più rivista.
FINE
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