Poesie in libertà. La poesia è lo specchio dell'anima

domenica 25 maggio 2008

Marco, alzatosi di buon’ora la mattina dopo, si era ripromesso di cancellare ogni traccia di Laura sia fisica sia virtuale, ma lo avrebbe fatto con calma nelle prossime giornate.
Adesso decise di uscire per una passeggiata distensiva. La giornata sembrava l’ideale per una pedalata in bicicletta attraverso le strade di campagna che passavano tra campi coltivati e antichi casolari ristrutturati ed adattati ad abitazioni di lusso.
Era da molto tempo che non prendeva la Colnago da passeggio nel garage di casa, perché negli ultimi cinque anni aveva trascorso la maggior parte del suo tempo a Milano, dove questo mezzo non era visto di buon occhio. Quando poi tornava a casa, l‘opportunità di uscire in bicicletta erano sempre scarse perché doveva raccontare ai genitori l’andamento degli studi, come funzionava la relazione con Laura, cosa faceva nella grande metropoli.
Sotto un telo di plastica trasparente stava sonnacchiosa la bicicletta da passeggio in attesa che Marco la facesse uscire dal letargo. Era tutt’altro che dozzinale, ma aveva un ottimo telaio con un manubrio normale mentre gli accessori erano di prima qualità.
Il padre la teneva in ordine, oliata e pulita, perché fosse pronta per Marco quando tornava da loro, ma sempre più di rado usciva dalla copertura dove stava nell’attesa di essere usata.
Tolse il telo, saggiò le gomme se erano gonfie al punto giusto e disse soddisfatto: “Papà, sei una persona eccezionale!”, mentre usciva sulla strada in sella all’amato mezzo.
Non era in tenuta da ciclista, ma aveva comode scarpe da ginnastica, pantaloncini corti e una maglietta leggera, perché sapeva che tra un po’ avrebbe cominciato a sudare dopo le prime pedalate. Sotto il sellino c’era una copertura di scorta per eventuali forature sempre in agguato, alcuni attrezzi, mentre davanti una piccola ma capiente borsa conteneva alcuni indumenti di scorta tra cui spiccava un impermeabile per proteggersi dalla pioggia e il telefonino sempre utile quando si era in giro.
La brezza fresca del mattino accarezzava il viso mentre prendeva velocità uscendo dalla città. Si sentì subito bene, dimenticando Laura, il sogno, i sensi di colpa. Era tornato adolescente quando per scaricare le delusioni amorose prendeva la bicicletta e faceva un lungo giro tra i campi. La bicicletta aveva il potere di fargli dimenticare tutte le preoccupazioni poiché gli liberava la mente e lo faceva sentire leggero e sereno.
Subito prese a destra della via principale una strada asfaltata e stretta, che scorreva tra filari di alberi e di siepi e la campagna curata, dove poteva incontrare solo macchine agricole e qualche rara automobile, che strombazzando facevano sentire la loro voce. Normalmente era poco frequentata ed era l’ideale per pedalare senza troppe ansie.
La campagna era bella e coltivata a grano tra scoli secchi e canali d’irrigazione ancora ben pieni d’acqua quasi stagnante. Le case coloniche erano quasi tutte ristrutturate con ampi spazi ingombri di alberi e attrezzi agricoli.
L’occhio di Marco spaziava libero osservando i primi gabbiani, venuti a svernare nell’entroterra, e alcuni aironi cinerini, prime avanguardie di uccelli acquatici, che tra qualche settimana si sarebbe installati lì tra le zolle smosse e i campi di erba medica.
Era rilassato mentre la vista assaporava quei gusti troppo a lungo dimenticati, ingoiati dalla grande metropoli, quando tra le basse siepi divisorie dei campi e i fusti degli alberi intravide la sagoma di un ciclista, seduto sul ciglio erboso con le gambe nello scolo secco.
“Forse si sta riposando oppure ha necessità di aiuto” pensò Marco vedendo quella figura ancora confusa ed indefinita alcune curve più avanti.
Tre pedalate vigorose e qualche curva pennellata l’avvicinò al ciclista, che era in realtà una ragazza dal volto imbronciato ed appoggiato sul palmo delle mani.
“No, credo che aspetti qualcuno per farsi aiutare” recitò silenziosamente, mentre fermatosi ad un metro da lei smontò dalla bicicletta, e disse: “Salve, la vedo seduta in silenzio in cerca di aiuto oppure di riposo?”
La ragazza lo squadrò dalla testa ai piedi per valutare la risposta adeguata e rispose con la voce un po’ acida: “Grazie, mi serve aiuto. Ho forato e non ho niente con me per eseguire la riparazione. Il telefonino non m’è d’aiuto: è ammutolito dopo il primo squillo”.
Marco osservò il pneumatico vergognosamente floscio e mentre si sedeva accanto a lei disse con tono gentile: “Ho un tubolare di scorta con me, ma non è adatto alle sue ruote”.
Si offrì di prestarle il telefono dopo aver tolto la sim così che lei poteva mettere la sua.
Poi riprese senza attendere risposta: “Oh! Sono davvero desolato. Non mi sono presentato. Sono Marco e possiamo darci del tu”.
La ragazza si stava riprendendo dalla stizza che l’aveva pervasa e con tono addolcito rispose: “Io mi chiamo Agnese. Grazie per l’aiuto e l’offerta”.
Si sentiva obbligata a ricambiare ed esere cortese verso di lui, perché, se Marco non andava per quella strada, non avrebbe saputo come uscire da quella situazione. Non vedeva case nel raggio di qualche chilometro e per di più non conosceva questa zona, perché era la prima volta che passava per queste strade.
Eseguito il cambio di sim, armeggiò a lungo con il telefono di Marco senza risultati apprezzabili salvo alcune imprecazioni, perché non aveva trovato nessuno che rispondesse alle chiamate.
“Sono desolata,“ disse Agnese sconsolata, “ma non trovo nessuno. Sono stata veramente sciocca a lasciare a casa il tubolare di scorta. Sarà di esperienza per la prossima volta”.
“Agnese,“ rispose Marco, mentre rimetteva la sim nel proprio telefono, “se ti adatti a salire sul cannone, possiamo raggiungere il paese più vicino che dista solo tre o quattro chilometri dove c’è un vecchio che ripara le biciclette o almeno fino ad un anno c’era. Con una mano ci portiamo dietro la tua incidentata. Non sarà comodissimo ma possiamo farcela. Ti va l’idea?”
Agnese allargando le braccia rassegnata ormai a tutto rispose affermativamente. Si sistemò sul tubo, che collega il manubrio al sellino e che in gergo lo chiamano “cannone”, e si avviarono verso il paese. Rischiarono più di una volta di cadere, mentre l’allegria contagiava i due giovani per l’insolita avventura che rompeva la monotonia di una pedalata in solitario.
Trovarono l’officina, che fortunatamente era ancora aperta e fecero capolino dalla porta.
“Buongiorno, “ disse Marco, “questa mia compagna di viaggio ha forato, ma non abbiamo niente per ripararla. Lei potrebbe farlo?”
“Certamente, “ rispose l’anziano artigiano, “però ci sarà un po’ da pazientare. Se volete potete sedervi all’ombra di quella quercia nella corte. Vi faccio portare qualcosa di fresco da bere”.
Marco e Agnese si sistemarono su due vecchie sedie da bar un po’ sgangherate ma tutto sommato pulite attorno ad un tavolino di ferro rotondo, anche questo recuperato dalla gelateria del paese.
La ragazza aveva il viso cotto dal sole, come le gambe e gli avambracci, per le lunghe pedalate in bicicletta, come si poteva notare dal contrasto della pelle candida delle parti coperte.
Aveva una corporatura minuta e ben proporzionata con muscolatura tonica ma non troppo appariscente. Un caschetto di capelli scuri incorniciavano il viso dove spiccavano due bellissimi occhi blu molto vivaci. Il seno sotto la tuta da ciclista era sodo e non troppo pronunciato, tutto merito della pratica sportiva che svolgeva con regolarità.
Non era troppo alta, ma nel complesso era piacevole da vedere perché le forme erano proporzionate e toniche.
Dopo un po’ arrivò una signora piccola dai capelli candidi con una bottiglia di acqua fresca, una birra e due bicchieri. I due ragazzi la ringraziarono per la cortesia usata, scusandosi per il disturbo arrecato.
Marco cominciò a parlare di sé, mentre sorseggiava la birra: “Sono laureato di fresco in ingegneria gestionale ed sto valutando le offerte ricevute. Però io voglio trovare qualcosa in zona. Amo troppo la mia città per lasciarla. Tu cosa fai? Io ho venticinque anni”.
Agnese ascoltò e dopo alcuni istanti di silenzio rispose che era laureata in economia e commercio e lavorava da un paio d’anni nell’area amministrativa del centro commerciale L…. La sua grande passione era la bicicletta, che inforcava quando aveva un po’ di tempo libero.
Trasse un lungo sospiro riprendo a parlare che oggi era una giornata di ferie non troppo felice per il momento, a parte l’arrivo provvidenziale di Marco. Ironicamente e commiserandosi aggiunse che era ormai vecchia, perché aveva ventotto anni e sarebbe stata una zitella a vita. E scoppiò in una gran risata: “Chi vuoi che mi prenda? Amo solo la bicicletta! Se potessi andrei sempre in bici”.
Agnese guardò Marco attentamente e proseguì: “Tu, mi sembri un uomo tranquillo con le idee chiare in testa ma un tantino stravaganti. Cosa pensi di trovare in zona per sfruttare la tua laurea? Non mi sembra che ci siano molte possibilità!”
Marco sorrise e replicò: “Qualcosa troverò, basta avere pazienza”.
Continuarono a parlare mentre si dissetavano senza accorgersi che il sole era ben alto nel cielo.
Finalmente il vecchio arrivò con la bicicletta di Agnese e disse scusandosi: “Vi ho fatto aspettare un po’ troppo, ma non sono riuscito a fare prima. Ecco la vostra bicicletta, signorina”.
“Quanto le devo per la riparazione?” chiese la ragazza.
“Nulla. Ho messo solo una pezza, perché non avevo un tubolare adatto” rispose.
“Nulla?” disse con tono sconcertato Agnese, “Avete lavorato, ci avete offerto da bere e non volete nulla?”
Trasse dal marsupio che portava a tracolla il portafoglio e afferrati venti euro li cacciò nella tasca dell’indumento da lavoro del vecchio dicendo: “Non so come ringraziarvi perché ero in un bel guaio. Voi mi consentite di tornare a casa!”
I due ragazzi, dopo averli salutati e ringraziati ancora una volta, salirono sulle rispettive biciclette avviandosi verso la città.
Erano ormai prossimi a F…, quando Agnese disse: “Grazie, Marco. Sono stata molto felice d’averti incontrato e senza il tuo aiuto sarei ancora là sul ciglio della strada a scontare i miei peccati. Qui le nostre strade si dividono. Prima di salutarci, possiamo scambiarci i nostri numeri di telefono?”
Si scambiarono i numeri pensando ad un improbabile prossimo incontro, perché tra i due ragazzi c’era stato molto affiatamento dopo un primo momento di diffidenza.
Marco osservò Agnese mentre prendeva la prima strada sulla destra per poi scomparire alla vista dopo un paio di curve.
Ritornato a casa, dimenticò l’episodio e non ci pensò più per molti mesi.

domenica 25 marzo 2007

Capitolo 1 – La nuova casa


Tutto cominciò per caso. Era una fredda sera di Dicembre tra Natale e Capodanno, Paolo stanco per la lunga giornata si sedette al suo tavolo e ripensò agli ultimi tempi.

Ormai erano diversi mesi che la sera lo coglieva stanco e non sempre, anzi quasi mai, poteva sedersi al suo tavolo a pensare e rilassarsi con le sue occupazioni preferite.

Abitava ora in una bella casa, silenziosa e nuova, dopo essere tornato nella sua città. Stava pian piano riscoprendole sue radici, riallacciando i ricordi sfilacciati dal tempo.

Pensava e ricordava questi ultimi mesi, così intensi e snervanti. Dapprima la preparazione del trasloco delle sue cose e dei suoi ricordi. La vecchia casa era piena di scatoloni vuoti da riempire. Con metodicità si toglievano gli oggetti dai mobili, si incartvano e si riponevano negli scatoloni, avendo cura di numerarli ed indicare sull’esterno la loro provenienza: libri dalla libreria nera, piatti dal mobile nero, vestiti dall’armadio bianco.

Sembrava un rituale e alla sera Paolo si toglieva la polvere dai vestiti e dalla bocca, secca e arida, stanco ed assonnato. Così andò avanti per diverse settimane e gli scatoloni sembravano sempre insufficienti a contenere tutto e crescevano di numero. “Dove li metterò nella nuova casa?”, pensava preso dallo sconforto, “Non c’è posto per tutto, dovrò eliminare molte cose e con esse anche i ricordi associati!”

Con molta tristezza Paolo caricava nella macchina tutto quello che non intendeva portare con sé e lo depoitava nella discarica pubblica.

Quanti viaggi! Quanta fatica! Quanto dolore nel disfarsi dei ricordi! Quale gioia nel ritrovare il vecchio quaderno di poesie, scritte tanti anni prima, quando era ancora un ragazzo! E le vecchie tempere ancora belle e brillanti, che sembravano uscite dalle pennellate di ieri, anto erano attuali e colorate!

Poi arrivò il gran giorno. La mattina di buon ora gli uomini del trasloco erano venuti a smontare i mobili, a imballare le ultime cose , a raccogliere la moltitudine di scatoloni, che erano lì silenziosi e malinconici in attesa di essere trasportati nella nuova casa.

Il trasloco fu veloce e si consumò entro mezzogorno. Paolo chiuse il portone di casa, prese la macchina e si diresse verso la nuova casa, dove avrebbe atteso il camion con i suoi ricordi. Arrivò velocemente senza aver consumato il pasto: non aveva fame.

Parte 1.

venerdì 23 marzo 2007

A Stefania

Coi capelli al vento,
con un dolce sorriso sulle labbra
corri spigliata e gaia
per i verdi campi,
mentre ti lasci accarezzare
lievemente la tua pelle
dal vento
e sei felice.


Annotazioni

Questa fa parte di un gruppo di quattro poesie dedicate a Stefania Cané, di cui non ricordo nulla: né il viso, né l’ambiente in cui l’ho conosciuta.
L’ispirazione è mista, ma predomina il verde e la campagna: immagini rilassanti e ottimistiche.
Probabile data di composizione è l’anno 1962/63.